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Messa del Crisma: «Gli oli santi assicurano la continua fioritura della giovinezza della Chiesa, che ha la missione di portare l’annuncio della speranza pasquale ai confini della terra e del tempo».

Con le parole di Isaia, proclamate nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-21), Gesù annuncia il compiersi della “pienezza del tempo”, che segna l’inizio del “Giubileo della Redenzione”. Egli, “figlio di Giuseppe”, si accredita come “pellegrino di speranza”, venuto “a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61,1-2a). Costretto a lasciare Nazaret, prima stazione della Via Crucis, Gesù scende a Cafarnao, entra nella casa di Simone e, dopo una sosta in un luogo deserto, si dispone a raggiungerlo sulla sponda del lago di Gennesaret e a salire a bordo della sua barca, per invitarlo a “prendere il largo” come “pescatore di uomini” (cf. Lc 5,10).

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Solennità di San Giuseppe: «I figli non hanno bisogno di “genitori amici” ma di adulti che sappiano reggere il peso del proprio ruolo».

Maria e Giuseppe, “pellegrini di speranza” al tempio di Gerusalemme, lungo la strada di ritorno a Nazaret, dopo una giornata di viaggio, si mettono a cercare Gesù, ormai dodicenne, tra i parenti e i conoscenti, ma si accorgono che non è nella comitiva (cf. Lc 2,41-52). Non trovandolo provano una grande angoscia, che li costringe a tornare indietro, con il cuore in gola ma senza salire sul “carro” dell’ansia. “Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava” (v. 46). Maria non si fa scrupolo a intervenire con mite fortezza, chiedendo: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (v. 48). Gesù, con disarmante semplicità, risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (v. 49). Maria e Giuseppe – annota l’evangelista Luca – “non compresero ciò che aveva detto loro” (v. 50).

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L’omelia del Vescovo Gualtiero per le esequie di don Raffaele Passagrilli

“Si è addormentato nel Signore”: questo mi sembra il necrologio più adatto ad annunciare il “transito” di don Raffaele. In occasione del mio ultimo incontro con lui l’ho trovato che riposava tranquillo e sereno, presso la Residenza protetta “Non ti scordar di me” di Castel Giorgio. Con la morte don Raffaele ha compiuto il suo “esodo pasquale”, che l’ha portato – come era solito dire – al di là dell’etere che, secondo gli antichi, era la parte più alta, pura e luminosa dello spazio, oltre il limite dell’atmosfera terrestre.

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Le esequie di don Raffaele Passagrilli (foto Alfride Cleri)

Quaresima: «Siamo tutti pellegrini verso la Città Santa, ma lo siamo realmente?» L’omelia del vescovo Gualtiero per il Mercoledì delle ceneri

Con l’austero simbolo delle ceneri iniziamo il “pellegrinaggio giubilare” della santa Quaresima, che conduce alla pienezza della gioia pasquale. “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”; “Convertitevi e credete al Vangelo”: con queste formule la liturgia esprime il duplice significato della cenere: è segno sia della debole e fragile condizione dell’uomo, sia della contrizione che il “senso del peccato” suscita nel suo cuore.

In questo Anno Santo il Signore ha disposto la Chiesa a prepararsi all’inizio della Quaresima nella concordia della preghiera incessante per Papa Francesco. Nel messaggio che egli ha fatto diffondere domenica scorsa, al momento della recita dell’Angelus, ha confidato: “Avverto nel cuore la benedizione che si nasconde dentro la fragilità (…). In questo momento particolare, mi sento come portato e sostenuto da tutto il popolo di Dio (…). Anch’io prego per voi e soprattutto per la pace: dall’ospedale la guerra appare ancora più assurda”.

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Apertura dell’Anno Giubilare nel Santuario di Collevalenza: l’omelia del vescovo Gualtiero

Nell’odierna Domenica della Parola – istituita da Papa Francesco come frutto del Giubileo straordinario della Misericordia –, la liturgia ci conduce a Gerusalemme, davanti alla porta delle Acque (cf. Ne 8,2-4), e nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16). A Gerusalemme, dopo l’esilio a Babilonia, per la prima volta viene riletto, in un contesto liturgico, l’intero libro della Tôrâ, allo scopo di ravvivare la speranza del popolo d’Israele – impegnato nella dura fatica della ricostruzione della Città Santa – intorno a due poli fondanti: il Tempio e la Legge di Mosè. A Nazaret Gesù entra nella sinagoga e si alza a leggere il rotolo di Isaia; il suo sguardo cade sul passo in cui il profeta presenta le credenziali che lo autorizzano a compiere il ministero conferitogli da Dio (cf. Is 61,1-2a e 58,6 riecheggiano Is 35,1-10). Gesù, consapevole della propria identità messianica, attribuisce a sé l’oracolo di Isaia, annunciando il mandato ricevuto: dare compimento ai desideri di liberazione da diversi aspetti di schiavitù.

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Aperto l’Anno Giubilare nella Basilica di Santa Cristina a Bolsena

La solenne celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Gualtiero Sigismondi, nel pomeriggio di domenica 12 gennaio 2025 a Bolsena, ha inaugurato l’Anno Giubilare nella Basilica di Santa Cristina. Il Vescovo, nella sua omelia, ha ricordato come «l’odierna solennità del Battesimo del Signore si interseca, qui a Bolsena, con la celebrazione dell’apertura dell’Anno Santo, momento favorevole per sperimentare quanto abbiamo inteso nella prima lettura: “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (Is 40,9-11). Nella prospettiva cristiana il Giubileo è un tempo di grazia in cui ci è concesso di sperimentare che Dio, nella sua grande misericordia, ci tiene sulle spalle ma ci porta sul petto. Su questa certezza di fede si fonda la nostra speranza, la quale “nasce dall’esperienza della misericordia di Dio, che è sempre illimitata”».

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L’omelia del vescovo Gualtiero per la solennità di San Giuseppe

Il “deserto quaresimale” a Orvieto inizia a fiorire nella solennità del suo Patrono, San Giuseppe. La liturgia ci fa salire con lui a Gerusalemme ove Gesù, dodicenne, senza che nemmeno sua Madre se ne accorga, si ferma a dialogare con i dottori nel tempio. Quando Maria e Giuseppe ripartono per Nazaret, dopo una giornata di viaggio lo cercano, invano, tra i parenti e i conoscenti. Costretti a tornare indietro, tre giorni dopo “lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava” (Lc 2,46).  “Figlio – gli chiede sua Madre –, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2,48). “Maria – rileva Papa Francesco – non dice io e tuo padre: prima dell’io c’è il tu!”. “Perché mi cercavate? Non sapevate – chiede Gesù – che devo essere nelle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). Il silenzio con cui replicano alle parole di Gesù porta a compimento l’opera della consegna di sé iniziata da Dio stesso nei loro cuori: immacolato quello di Maria e castissimo quello di Giuseppe. Egli, in questa circostanza, prende coscienza di aver dato a Gesù “non i natali, ma lo stato civile”.

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L’omelia del vescovo Gualtiero per la solennità di San Fortunato

Fratelli e sorelle carissimi, come una casa senza affetti è solo un riparo, così una città senza un campanile è soltanto un insieme di abitazioni. Il campanile di questo tempio, intitolato a San Fortunato, è segno visibile dell’identità civile e religiosa della città di Todi, che ha eletto a sua sentinella il santo vescovo Fortunato. Quello che conosciamo di lui è racchiuso nei Dialoghi di San Gregorio Magno; quello che sappiamo di lui ce lo racconta la devozione del popolo tuderte, che ha eretto in suo onore questo tempio “fuori scala”.

La storia insegna che l’affermarsi del Cristianesimo avviene, anche nella città di Todi, contemporaneamente al disgregarsi dell’Impero romano. La difesa dalle orde dei barbari che percorrono la penisola – da oltre le Alpi o dalle coste del sud con l’obiettivo di raggiungere Roma – è affidata a piccoli agglomerati urbani, edificati quasi sempre intorno a una Chiesa o a un luogo sacro. Ecco assumere un valore fondamentale la figura di San Fortunato, defensor fidei et defensor civitatis, chiamato a preservare la comunità cristiana e civile di Todi da guerre e pestilenze. È proprio intorno alla Chiesa a lui intitolata che, calmatesi le acque burrascose delle grandi invasioni, la nostra città comincia a ricostruirsi e a svilupparsi fino ad assumere la forma che è giunta ai nostri giorni.

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L’omelia del vescovo Gualtiero nella solennità dell’Assunta

Nel “meriggio” dell’estate cade la solennità dell’Assunta, la più antica celebrazione in onore della Beata Vergine Maria, “una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Si tratta di un appuntamento molto caro al popolo cristiano, in particolare a quello orvietano, che ha intitolato il Duomo a Colei che il Signore ha esaltato quale Regina dell’universo. È una festa che invita a invocare Maria come “primizia della Chiesa celeste” e a considerare il termine ultimo della nostra avventura terrena, elevata verso mete che stanno ben oltre ogni umana attesa.

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L’omelia del Vescovo Gualtiero per la veglia di Pentecoste

La liturgia racchiude la celebrazione della Pasqua nel tempo sacro dei cinquanta giorni: la solennità di Pentecoste porta a compimento il mistero pasquale. Questa Messa vespertina nella vigilia, calibrata sullo stile della Veglia pasquale, ci invita ad ascoltare la parola di Dio con cuore disponibile, oltre che sereno, e ci chiede di domandare al Signore, “mediatore e garante della perenne effusione dello Spirito”, di concedere alla sua Chiesa di “essere sempre fedele alla vocazione di popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, per manifestarsi al mondo come sacramento di santità e di comunione”.

Come nell’antica Alleanza Dio si è rivelato a Mosè nel fuoco, sulla santa montagna del Sinai, così nella nuova Alleanza Egli si è manifestato a Maria e agli apostoli nella fiamma dello Spirito, che “rinnova anche oggi nel cuore dei credenti i prodigi operati agli inizi della predicazione del Vangelo”. “Tornare alla Chiesa delle origini – avverte Papa Francesco – non significa guardare all’indietro per copiare il modello ecclesiale della prima comunità cristiana. Non possiamo saltare la storia, come se il Signore non avesse parlato e operato grandi cose anche nella vita della Chiesa dei secoli successivi. Non significa nemmeno essere troppo idealisti, immaginando che in quella comunità non ci fossero difficoltà (…). Piuttosto, tornare alle origini significa recuperare lo spirito della prima comunità cristiana, cioè ritornare al cuore e riscoprire il centro della fede: la relazione con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo al mondo intero. E questo è l’essenziale!”.

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