Il Signore, che “dispone i tempi del nascere e del morire”, ha fatto passare don Enrico all’altra sponda, a mezzogiorno della vigilia della Domenica del buon Pastore. Da diversi giorni la morte era giunta al suo capezzale, ma il “Pastore dei pastori” l’ha “tirato su nel cielo” (cf. At 11,10) quando a Lui è piaciuto, all’ora del Regina Coeli.
La campana, con i suoi rintocchi gravi, ha annunciato a San Giovenale il suo approdo al di là di ogni dolore, di ogni responsabilità, di ogni malattia, in quell’abbraccio in cui tutto si compie. Quando nasce un bambino si dice che “è venuto alla luce” e, con la stessa espressione legata alla luce, quando un uomo muore si dice che “si è spento”. Il linguaggio comune identifica la vita con la luce e la morte con la tenebra. Avvolto nelle tenebre, il mondo a Pasqua è tornato a risplendere, perché il Signore “ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo” (2Tm 1,10). “Il nostro Signore fu schiacciato dalla morte – scrive sant’Efrem diacono –, ma a sua volta Egli la calpestò come una strada battuta (…). La divinità si nascose sotto l’umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa”.
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