Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria – L’omelia del Vescovo Gualtiero

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Il mistero dell’Assunzione della Madre del Redentore porta a compimento l’opera iniziata da Dio in Lei preservandola dalla macchia del peccato originale. La Vergine Maria, “mistica aurora della redenzione”, è “tutta bella” perché Immacolata e “tutta santa” perché Assunta alla gloria del cielo in corpo e anima. In Occidente la contempliamo elevata verso l’alto, avvolta di luce gloriosa; in Oriente è raffigurata distesa, dormiente, circondata dagli Apostoli in preghiera, mentre il Signore Risorto la tiene tra le mani come una bambina. L’Assunta irrompe in cielo, come nella casa di Elisabetta, con il suo corpo umanissimo e con l’animo trepidante di gioia.

Al cuore dell’estate, nel giorno di Ferragosto, la Chiesa ci chiama a celebrare una delle feste più antiche, forse la più popolare tra quelle in onore della Vergine Maria: la sua Assunzione in cielo, il suo Transito da questo mondo al Padre. Fin dai primi secoli la fede della Chiesa ha indicato nella Madre di Gesù Colei che prefigura la meta che attende ogni vivente. Maria è icona del popolo dei credenti perché è la “figlia di Sion” (cf. Sof 3,14.17), l’Israele santo da cui è nato il Messia, ed è anche la “madre della Chiesa”, generata dalla morte di Cristo (cf. Gv 19,25-27). L’autore dell’Apocalisse la contempla gestante, “vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle”, simbolo delle tribù di Israele (cf. Ap 12,1-2).

Per l’Oriente come per l’Occidente, la Dormizione-Assunzione di Maria è un segno delle “realtà ultime”, di ciò che accadrà alla fine dei tempi, quando “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28). Maria è contemplata dalla Chiesa in quella dimensione dell’esistenza, al di là della morte e del giudizio, chiamata “cielo”. In questo termine non c’è contrapposizione ma, piuttosto, abbraccio con la terra. “Coronata di gloria incomparabile”, Maria è figura di quella “terra promessa” cui siamo destinati; ecco perché un inno della Chiesa ortodossa serba l’acclama quale “terra del cielo”.

Maria ha riaperto la porta del cielo chiusa dalla disobbedienza di Eva: questo è il grido di speranza che oggi la liturgia annuncia, facendo uso del linguaggio e delle immagini di cui dispone. Forse, alcune espressioni liturgiche e rappresentazioni iconografiche ci appaiono inadeguate, ma l’anelito che esprimono rimane lo stesso anche ai nostri giorni. Noi amiamo questa nostra terra, eppure essa ci sta stretta; ci preoccupiamo del nostro corpo, eppure sentiamo di essere più grandi della nostra fisicità; lottiamo nel tempo, eppure percepiamo che la nostra esistenza supera il tempo; godiamo dell’amicizia e dell’amore, eppure ne avvertiamo i limiti e ne temiamo la caducità. L’odierna solennità è annuncio di un cielo in cui si è posata la polvere della nostra fragile umanità e di una terra che, nelle zolle dei suoi solchi, custodisce il seme dell’alito di vita soffiato da Dio nelle narici di Adamo (cf. Gen 2,7). Siamo polvere del suolo, ma soffiata come il vetro!

La nostra destinazione è il cielo, come lascia intendere la “macchina dell’Assunta” venerata nella nostra Cattedrale: ha alla base non un sarcofago chiuso, sigillato, ma aperto, anzi, esploso. L’inondazione della luce pasquale ha reso lieve il peso della terra e ha raggiunto anzitutto Maria, la Madre di Gesù, “risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (cf. 1Cor 15,20). “Maria Assunta in cielo – osserva Papa Francesco – canta la speranza e la riaccende in noi; in Lei vediamo la meta del cammino: Lei è la prima creatura che con tutta se stessa, in anima e corpo, taglia vincitrice il traguardo del Cielo. Ci mostra che il Cielo è a portata di mano”.

Fratelli e sorelle carissimi, Maria non canta il Magnificat dopo l’annuncio dell’angelo e nemmeno quando, “in fretta”, si mette in viaggio “verso la regione montuosa”; Maria lo intona quando Elisabetta l’accoglie nella casa di Zaccaria (cf. Lc 1,39-56). È lecito immaginare che l’Assunta, varcando la porta del cielo, dopo aver ripreso fiato abbia affidato agli angeli, dei quali è Regina, il compito di eseguire all’unisono il Magnificat. Forse, l’avranno cantato in modo responsoriale, acclamando: “Ha innalzato gli umili”. Nel Cantico di Maria questo versetto costituisce il punto di svolta della sua obbedienza nella fede. Esso rappresenti il “giro di boa” del nostro cammino di conversione, che non concede sosta all’anima e tregua al corpo, “destinato a vestirsi d’immortalità” (cf. 1Cor 15,54), a indossare la tunica della grazia, tessuta tutta d’un pezzo intrecciando il pudore e lo stupore. Santa Maria, Assunta in cielo, ottienici dal Figlio tuo occhi limpidi, idratati dal pudore, che è il “collirio” dello stupore.

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto – Basilica Cattedrale
15-08-2023