La realtà della vita consacrata è paragonabile a quella di un corpo, formato da varie membra (cf. 1Cor 12,12-30). Chiamata a manifestare, mediante i consigli evangelici, i tratti caratteristici di Gesù – vergine, povero e obbediente –, la vita consacrata comprende religiosi e religiose, contemplativi e contemplative, istituti secolari, società di vita apostolica e ordo virginum.
“L’eleganza di un’anima che si spende nella lode di Dio e nel dono di sé”: questa è la regola pastorale della vita consacrata. Vero discepolo è colui che sa di essere “servo inutile” (cf. Lc 17,10). Due insidie, spesso latenti, rendono corto il respiro missionario.
– La tentazione di trascurare il dono della chiamata alla santità, ignorando che la “cura della vita interiore è la prima attività pastorale, la più importante”.
– La resistenza a “camminare insieme”, sottovalutando che la vita consacrata ha una radicale forma comunitaria e può essere intesa solo come un’opera collettiva.
Se non si è leali nel vigilare sulla propria fragilità, custodendo la vita interiore e coltivando la vita fraterna, non c’è spazio per la fedeltà di una dedizione totale (cf. Gv 12,26; Mc 10,45), ma vi è posto solo per la malinconia, una patologia che ha diversi sintomi.
– La malinconia di chi si affatica invano senza affidarsi al Signore (cf. Sal 127,1), rinunciando a se stesso (cf. Lc 14,25-35): è lo stato in cui versa chiunque spenda la vita senza donarla.
– La malinconia di chi mette mano all’aratro e continua a volgersi indietro (cf. Lc 9,62): è la miopia di cui soffrono coloro che vengono risucchiati dalle correnti di deriva della nostalgia.
– La malinconia di chi “cerca i propri interessi, non quelli di Cristo” (cf. Fil 2,21; 1Pt 5,2-3): è l’abisso in cui precipitano quanti “mercanteggiano” o “falsificano” la Parola (cf. 2Cor 2,17; 4,2).
– La malinconia di chi ignora che l’apostolato è il traboccare della vita interiore: è la palude in cui ristagna chiunque sia “come bronzo che rimbomba o cimbalo che strepita” (1Cor 13,1).
– La malinconia di chi si dà agli altri senza “lasciare nulla di sé a se stesso” (cf. Mc 6,31): è il vicolo in cui finiscono coloro che non mantengono una tensione armonica tra solitudine e comunione.
– La malinconia di chi getta in mare le reti per la pesca senza prendere nulla (cf. Lc 5,4-5): è la depressione in cui piombano quanti ignorano che “la nostra capacità viene da Dio” (2Cor 4,5).
– La malinconia di chi si lascia consumare dai fremiti dell’orgoglio e dell’invidia (cf. 1Tm 6,3-5): è la trincea in cui si chiude chiunque non preservi la lingua da “inutili mormorazioni” (cf. Sap 1,11).
Molteplici sono i sintomi della malinconia, ma l’elenco non sarebbe completo se si dimenticasse che il cuore umano, a motivo della debolezza di cui è rivestito, è portatore sano di un’inguaribile malinconia. Illuminante, al riguardo, è quanto scrive Søren Kierkegaard. “La malinconia è espressione del fatto che siamo creature limitate e tuttavia viviamo, per così dire, a porta a porta con Dio. La malinconia è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo, chiamato ad accogliere Dio nella propria vita. La malinconia è la salutare inquietudine dell’uomo che avverte la vicinanza dell’infinito: beatitudine e minaccia ad un tempo!”. Chi più di un consacrato sperimenta l’abisso di questa delicata congiuntura? Sebbene gli impulsi della malinconia siano ambivalenti, resta sempre valido l’appello: “Caccia la malinconia dal tuo cuore” (Qo 11,10). “Rigettiamo l’amarezza che vuole entrare nel nostro spirito – esorta san Bernardo – e apriamoci piuttosto alla grande gioia che sta nel riposare sullo Spirito di Dio (…). Dobbiamo guardare noi stessi e dolerci dei nostri peccati in ordine alla salvezza, ma dobbiamo anche guardare Dio, respirare in Lui per avere la gioia e la consolazione dello Spirito santo. Da una parte ci verrà il timore e l’umiltà, dall’altra la speranza e l’amore”.
La gioia nel Signore, sintomo di vera libertà, ha nella comunione fraterna uno strumento di verifica di estrema precisione. Una delle patologie più gravi che minaccia la vita consacrata è l’incapacità di “perseverare nella comunione” (cf. At 2,42). San Paolo avverte che come la mancanza di amore fraterno “rattrista lo Spirito santo” (cf. Ef 4,30), così l’incapacità di osservare la disciplina della comunione “spegne lo Spirito” (cf. 1Ts 5,19-20). La testimonianza di un’autentica vita fraterna, capace di colmare la distanza tra spiritualità e quotidianità, è la prima forma di evangelizzazione.
+ Gualtiero Sigismondi