Corteo dei cortei delle rievocazioni storiche
“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20): la garanzia della presenza del Signore, assicurata a chiunque si riunisca nel suo nome, si compie oggi in mezzo a noi, che formiamo una variopinta assemblea liturgica, che raccoglie i colori delle Rievocazioni Storiche dell’Umbria. Quello della comunione non è un credito da vantare, ma un debito inestinguibile, come ricorda san Paolo nella seconda lettura (cf. Rm 13,8); le sue rate hanno una scadenza quotidiana: fra di esse, una delle più impegnative, è quella della correzione fraterna. Papa Francesco osserva che si tratta di “una delle espressioni più alte dell’amore”, fatto “di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di magnanimità” (Col 3,12).
All’opera di misericordia spirituale della correzione fraterna fa esplicito cenno il profeta Ezechiele nella prima lettura, sottolineando che chiunque si sottragga al dovere di avvertire chi ha bisogno di essere richiamato diventa complice della sua iniquità (cf. Ez 33,1.7-9). Anche Gesù nel Vangelo presenta ai discepoli la disciplina della correzione fraterna, indicando loro i passi da compiere per praticarla lealmente e gradualmente (cf. Mt 18,15-18). Il primo di essi consiste nel parlare “a viso aperto” con il fratello che commette una colpa; qualora questo tentativo dovesse fallire è necessario coinvolgere “due o tre testimoni”. Se anche questa eventualità non sortisse alcun effetto positivo occorre coinvolgere l’intera comunità, non per mettere alla gogna, ma alle strette, chi si ostina a perseverare nell’errore. Solo dopo aver compiuto, invano, quest’ultimo gesto di carità ci si può ritenere dispensati dall’obbligo di continuare a insistere.
“Chi rifiuta la correzione – si legge nel Libro dei Proverbi – disprezza se stesso, ma chi ascolta il rimprovero acquista senno” (15,32). Analogamente, chi si sottrae al compito della correzione fraterna è sleale e infedele, ma chi lo pratica cresce in sapienza e grazia. Correggere non vuol dire umiliare chi si è allontanato dalla verità (cf. Gc 5,19-20), ma riprenderlo con discrezione, “con spirito di dolcezza” (cf. Gal 6,1), con chiarezza e fermezza.
Con discrezione, anzitutto, che è segno di rispetto, di venerazione per la coscienza altrui, in qualunque condizione si trovi. Oltre a intervenire con discrezione è indispensabile muoversi con “mite fortezza”, come ha fatto Gesù quando rimprovera Marta, ripetendo per due volte il suo nome (cf. Lc 10,38-42). Non è difficile immaginare che il Signore abbia fissato lo sguardo su di lei; in effetti, fino a quando gli occhi non si posano su quelli della persona da riprendere è bene tacere, perché potrebbero parlare i “fremiti dell’orgoglio e dell’ira”. Gesù, nel richiamare Marta, non trascura di indicarle con chiarezza la causa dello stato di profonda agitazione in cui versa e di additarle con fermezza la parte migliore da scegliere. Il Signore non limita il suo intervento girando attorno al problema, come una vite spanata; in altri termini, va diritto al “centro”, senza percorrere all’infinito il “raccordo anulare” delle esortazioni sterili o la tangenziale delle “pacche sulle spalle”, gesto che conduce inesorabilmente nell’area di sosta dell’ipocrisia.
Fratelli e sorelle carissimi, con i colori dei vostri abiti e il coro delle vostre voci, quelle del rullo dei tamburi e dello squillo delle chiarine, manifestate la bellezza e la ricchezza della storia civile e religiosa delle nostre cittadine umbre. Chissà quante volte siete chiamati, durante le riunioni delle vostre associazioni, a praticare l’arte della correzione fraterna, per sedare sia la smania di chi vorrebbe occupare a vita il primo posto, sia la bramosia di chi pretende di indossare sempre l’abito più bello. Non dimenticate che “il corteo dei cortei” è quello delle virtù della correzione fraterna: la discrezione, la mitezza, la chiarezza e la fermezza. Il vostro servizio appartiene al mondo del volontariato, soggetto sociale che più di ogni altro mette in pratica il principio di reciprocità. Se vissuto come una sorta di dovere etico, il volontariato è una grande occasione di crescita umana e spirituale. Quando viene meno la componente dell’agire volontario, una società può dirsi prossima al collasso.
Il Signore conceda a tutti voi, membri dell’Associazione Umbra Rievocazioni Storiche, di perseverare, con entusiasmo sincero, in questo impegno volontario, che riesce ad esercitare un forte fascino anche sulle nuove generazioni, le quali hanno bisogno del linguaggio dei segni: in particolare quelli dell’autorevolezza e dell’affetto. Un sano equilibrio tra autorevolezza e affetto dà ordine al “corteo dei cortei” delle relazioni intergenerazionali.
+ Gualtiero Sigismondi