“Come aquila colse dall’alto il senso delle cose”: questa espressione – tratta dal responsorio dell’ufficio delle letture, nella memoria di san Gregorio Magno – sembra particolarmente adatta a tracciare il profilo di san Fortunato, come lascia intendere l’architettura gotica di questo tempio, edificato sull’acropoli di Todi. Le scarne fonti documentarie, che fondano la devozione del popolo tuderte per san Fortunato, ci insegnano a invocarlo come “defensor fidei et civitatis”. Questo titolo sottolinea che la “città di Dio” non è separabile dalla “città degli uomini” trascendendola, però, sempre, nella sua finalità educativa e nella sua efficienza sociale.
Una Chiesa viva sa riformare se stessa e rinnovare la società. Illuminanti, al riguardo, sono le parole pronunciate da Timothy Radcliffe, ex Maestro dell’Ordine dei Predicatori, nel ritiro spirituale che ha preceduto l’inizio dei lavori della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo: “Rinnovare la Chiesa è come fare il pane. Si raccolgono i bordi dell’impasto al centro e si allarga il centro ai margini, riempendo il tutto di ossigeno”. Il problema, ai nostri giorni, non è essere poco numerosi, ma insignificanti: “Se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?” (Mt 5,13). Questo “interrogativo esclamativo”, posto da Gesù ai discepoli, sprona anche noi a “risvegliare l’inquietudine per il Vangelo” dentro le ferite, le difficoltà e anche le passioni tristi di questo tempo.
Fratelli e sorelle carissimi, nell’attuale cambiamento d’epoca è necessario inoltrarsi lungo sentieri inesplorati, assumendo una corretta “postura sinodale” e un’agile “andatura missionaria”. La storia della Chiesa insegna che ogni cammino di rinnovamento inizia “strada facendo”, seguendo i passi dei primi cristiani, “quelli della Via” (cf. At 9,2), i quali non hanno rinunciato a raggiungere i “crocicchi delle strade” (cf. Mt 22,8-9). C’è bisogno di un sussulto di responsabilità, di creatività e di audacia nel ripensare le modalità della presenza ecclesiale. “Il Vangelo della carità – osserva il Santo Padre – sia la magna charta della pastorale. Non siamo chiamati a rimpiangere i tempi passati, a ridefinire una rilevanza ecclesiale o a misurare la visibilità (…), ma ad aiutare chi cerca il Signore, a scuotere gli indifferenti, ad avviare percorsi di iniziazione alla bellezza della fede”.
Il cantiere delle riforme sarebbe fondato sulla sabbia se le soluzioni non venissero cercate tenendo fisso lo sguardo su Gesù e sperimentate sul banco di prova della concordia. A san Fortunato, “vir vitae venerabilis”, chiediamo di sollecitarci a prendere la ferma decisione di derubricare l’agenda pastorale, di riordinare le priorità, di radicarci in ciò che è essenziale. Al nostro santo Patrono domandiamo di aiutarci a superare ogni ristrettezza di vedute, per affrontare le esigenze dell’evangelizzazione e le urgenze della carità. Supplichiamo san Fortunato di non abbandonarci alla tentazione che, in Egitto, insidia Israele il quale, “prigioniero della mormorazione senza sogni”, “ritiene la rassegnazione più sensata della speranza”. “Il popolo che grida e si rassegna – avverte Mario Delpini, Arcivescovo di Milano – vive dappertutto, anche oggi, nella Chiesa”.
Fratelli e sorelle carissimi, stretti tra l’incudine del lamento e il martello della rassegnazione non possiamo affrontare le sfide che incalzano: abbattere bastioni, aprire brecce, gettare ponti. Oggi la Chiesa ha bisogno di non lasciarsi risucchiare dalla tristezza, ma di alzare gli occhi al cielo per ricentrare lo sguardo su Cristo. Questo nostro tempo è una stagione di grazia, paragonabile all’esilio biblico. L’invasione dei Babilonesi a Gerusalemme comporta la distruzione del tempio e la deportazione in terra straniera, che costringono gli Israeliti ad appendere le cetre sui salici, “lungo i fiumi di Babilonia” (cf. Sal 137). E tuttavia, lontano dalle loro case essi riscoprono l’essenziale: comprendono che Dio non fa mancare la sua presenza anche fuori dal tempio.
“Non è tempo di fermarsi – raccomanda Papa Francesco –, non è tempo di arrendersi, non è tempo di ormeggiare la barca a riva o di guardarsi indietro; non dobbiamo fuggire questo tempo perché ci spaventa e rifugiarci in forme e stili del passato. Questo è il tempo di grazia che il Signore ci dà per avventurarci nel mare dell’evangelizzazione e della missione”. A noi Chiesa è chiesto di preparare la via, “di incanalare le acque – scrive sant’Agostino –, ma è Dio che riempie la sorgente” (cf. Enar. in Psalmos 66,1). Il suo Regno cresce, attraverso e oltre i nostri sforzi, di cui il Signore vuole aver bisogno “per concederci un futuro pieno di speranza” (cf. Ger 29,11) in un mondo che cambia, al quale felicemente apparteniamo.
+ Gualtiero Sigismondi