“Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra” (Lc 2,1): la Messa della notte di Natale ci conduce a Betlemme indicandoci le coordinate storiche della “pienezza del tempo”. Lo sforzo corale del Paese per contrastare e superare la pandemia ci fa anticipare l’ora di questo gioioso appuntamento liturgico; la solennità del Natale la si può celebrare “in spirito e verità” anche andando alla Messa di mezzanotte qualche ora prima. L’opportunità di un Natale inedito, riconciliato con la “grandezza della semplicità”, sarebbe un peccato non provare a coglierla, spogliandoci di quelle abitudini accessorie che non aiutano a fissare lo sguardo sul “segno” del “bambino avvolto in fasce, posto in una mangiatoia” (cf. Lc 2,12).
La “grandezza della semplicità” risplende nel profondo silenzio di quella “notte placida” in cui Maria e Giuseppe, stanchi del viaggio, non trovano posto nell’alloggio. La “grandezza della semplicità” commuove gli angeli: chi, più e meglio di loro, avrebbe potuto riconoscere la bontà di Dio apparsa sulla terra? La “grandezza della semplicità” sorprende anche i pastori, “primi testimoni dell’essenziale”; “senza indugio” vanno a Betlemme e nel “bambino avvolto in fasce” riconoscono il “segno” indicato loro dall’angelo. La “grandezza della semplicità” colma di meraviglia il cuore della Madre di Dio che, assieme a Giuseppe suo sposo, custodisce e medita il “prologo” dell’evento stupendo della redenzione. La “grandezza della semplicità” disarma persino i Magi i quali, “assetati d’infinito”, sono “primizia dei popoli chiamati alla fede”; affrontando un viaggio lungo e insidioso, testimoniano che “si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo”.
Fratelli e sorelle carissimi, anche noi “andiamo fino a Betlemme” (cf. Lc 2,15), che in ebraico significa “casa del pane”, raccogliendoci in profondo silenzio, a mezzanotte, davanti al presepe. Il suo allestimento nelle nostre case è parte integrante del processo di trasmissione della fede che ha la sua “natività” in famiglia. “Il presepe – scrive il Santo Padre Francesco nella lettera apostolica Admirabile signum – è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura (…). Aiuta ad immaginare le scene e invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali (…). Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio (…). Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto (…). Spesso si aggiungono al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che (…) c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura”.
Il presepe è lo specchio della vita dei nostri giorni e delle nostre notti, in cui Dio passeggia “in incognito”. La costruzione del presepe è sempre un esercizio di “fantasia creativa”; quest’anno c’è chi vi ha inserito alcuni personaggi divenuti familiari nelle circostanze attuali, segnate dall’irruzione della seconda ondata della pandemia. Medici, infermieri e operatori sanitari aprono la processione che incede verso la mangiatoia per “visitare” Gesù bambino e “auscultare” il suo cuore. Ogni presepe racconta lo stupore che suscita il mistero dell’Incarnazione del Verbo: “È apparsa la grazia di Dio, che porta la salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (Tt2,11-12). Il Natale del Signore ha tratti di grande essenzialità, che sollecitano a improntare a una maggiore sobrietà gli stili di vita e di consumo. La temperanza è uno stato di vigilanza che fa crescere le virtù e le opere della solidarietà e della fraternità; la loro “misura alta”, quella del dono di sé, viene determinata a Betlemme, la “città di Davide” in cui è avvenuto un evento che ha cambiato il corso della storia e a partire dal quale si ordina la numerazione degli anni.
“Tu, Signore, entrando nella storia, hai aperto la nuova era predetta dai profeti, fa’ che la Chiesa rifiorisca in giovinezza perenne”: la Liturgia delle ore, nell’odierna solennità, pone sulle nostre labbra questa formula di intercessione che ci invita ad aumentare, anzi, a moltiplicare la gioia e a scegliere il “vero essenziale”, la “grandezza della semplicità”.
+ Gualtiero Sigismondi