All’indomani dell’ottava di Pasqua celebriamo la festa di San Marco, il discepolo prediletto di Pietro a cui la tradizione attribuisce il Libro dei Vangeli che riecheggia la predicazione del pescatore di Galilea, primo fra gli apostoli a confessare la fede nel Cristo. Abbiamo appena ascoltato la parte conclusiva dell’ultimo capitolo del Vangelo scritto dall’Evangelista che oggi festeggiamo. Gesù, dopo aver conferito il mandato missionario agli Undici, accenna sia ai segni che accompagneranno quelli che credono, sia ai segni che confermeranno la Parola annunciata dai discepoli, testimoni della sua Risurrezione.
L’apostolo Pietro che, come abbiamo inteso nella prima lettura, chiama Marco “Figlio mio” (1Pt 5,13), ci ha invitato a rivestirci di umiltà, “perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1Pt 5,5). Quello dell’umiltà è un abito che riesce a indossare solo chi porta la taglia della sobrietà, che educa ad abbandonarsi alla fedeltà di Dio, riversando in Lui ogni preoccupazione, perché Egli ha cura di noi e non permette che il nemico, il diavolo, ci divori. Sebbene sia un “leone ruggente”, tuttavia noi abbiamo per grazia la forza di resistergli saldi nella fede; pertanto, non siamo noi a dover scappare ma è lui che è costretto a fuggire.
“Il Dio di ogni grazia – assicura l’apostolo Pietro –, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta” (1Pt 5,10). Queste parole ci vengono in soccorso, oggi, a quarant’anni da quel mattino di una fredda domenica di aprile in cui fu avvistata dalla periferia e dai paesi attorno a Todi una colonna di fumo levarsi sopra la città. All’interno del Palazzo del Vignola, sede della XIV Mostra Mercato Nazionale dell’Antiquariato, era scoppiato un incendio, portando distruzione e morte. Era l’ultimo giorno di apertura al pubblico della manifestazione, nata nel 1969 per iniziativa lungimirante di alcuni privati. L’edizione del 1982 si era aperta il 28 marzo e, come le edizioni precedenti segnate da un sempre crescente afflusso di pubblico, si stava chiudendo nella soddisfazione dei suoi organizzatori e degli espositori partecipanti. A morire furono in 35; molte altre persone, almeno una quarantina, rimasero ferite, alcune delle quali con danni permanenti per le ustioni riportate.
Anch’io ho partecipato alle esequie, celebrate nel Duomo di Todi da S. E. mons. Decio Lucio Grandoni, a cui ha preso parte il card. Giuseppe Paupini, invitato da Giovanni Paolo II, il quale pochi mesi prima, il 22 novembre 1981, aveva visitato la nostra città dopo essersi recato a Collevalenza. “Il Papa è con voi, prega con voi, soffre con voi”: queste parole, pronunciate a gran voce dal card. Paupini, mi si sono scolpite nei timpani; il tono troppo alto mi parve un vaneggiamento che, forse, urtò la sofferenza dei familiari delle vittime, immersi nell’assordante e inconsolabile dolore provocato dalla scomparsa dei loro cari. Quelle morti e le sofferenze dei feriti alzano ancora un denso fumo sulla nostra città, che il 25 aprile 1982 ha vissuto una tragedia che potrebbe essere paragonata a quanto accade a un albero colpito e disintegrato da un fulmine.
Questa pagina dolorosissima della storia della nostra città ha lasciato una ferita aperta nel cuore dei familiari delle vittime e di coloro che portano impressi nella carne i segni delle ustioni. E tuttavia, quella giornata di passione, ha contribuito a scrivere un capitolo importante della prevenzione incendi, facendo maturare la consapevolezza di rendere obbligatorio il certificato, rilasciato dal comando provinciale dei Vigili del fuoco, che attesta il rispetto della normativa e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. Si tratta di un certificato soggetto ad aggiornamento periodico, che ha fatto crescere la cultura della prevenzione, ma a un prezzo insostenibile, quello della vita. Solo la fede pasquale ci consente di trovare la forza di portare il peso di quanto è accaduto quarant’anni fa. Questa fede ci è indispensabile per elaborare il lutto!
Fratelli e sorelle carissimi, con la Risurrezione di Cristo la morte non ha più dominio. “Mors et vita duello conflixere mirando”: così canta la Sequenza pasquale. Si tratta di un duello che vede vincente Cristo, il Vivente, che ha “le chiavi della morte e degli inferi” (cf. Ap 1,18). Davanti al mistero della morte è impossibile togliere le lacrime al pianto, e tuttavia ai credenti il dolore della morte toglie il respiro ma non la speranza! C’è una morte, quella di Cristo, che ha ucciso la morte: la sua tomba vuota è il vessillo della speranza pasquale, che non delude.
+ Gualtiero Sigismondi