Alle porte del nuovo Anno pastorale, si è svolta a Collevalenza un’inedita Assemblea del Clero della Diocesi

La riflessione del Vescovo alla luce dei tre anni del suo ministero nella Chiesa di Orvieto- Todi: difficoltà, valutazioni e prospettive future. Urge "mettere in atto delle forme di presenza pastorale coraggiose e innovative"

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Giovedì 21 settembre, festa liturgica di san Matteo Apostolo ed Evangelista, Mons. Gualtiero Sigismondi, alle soglie del nuovo Anno pastorale, ha convocato il Presbiterio diocesano a Collevalenza, presso la Casa del Pellegrino del Santuario dell’Amore Misericordioso, per un’inedita Assemblea del Clero.

Dopo la recita dell’Ora Terza, Presbiteri e Diaconi hanno ascoltato con attenzione la riflessione del Vescovo, offerta “a viso aperto”, alla luce dei tre anni dall’inizio del suo ministero episcopale nella nostra Chiesa di Orvieto-Todi. Un intervento puntuale, volto a sottolineare le difficoltà e i limiti riscontrati in questo tempo e a tracciare la rotta per una “conversione dello sguardo”, di cui ha bisogno la vita pastorale; una conversione che richiede umiltà e mitezza e che vuol dire sia “cambiare strada”, facendo un’inversione di marcia, sia “cambiare mentalità”, rinnovando idee e comportamenti. Uno sguardo panoramico, dunque, quello di Mons. Gualtiero, sulla storia della nostra Diocesi e sulle prospettive future, partendo dalla constatazione che ciò che “diverse Diocesi in Italia stanno iniziando a sperimentare, la nostra Chiesa particolare l’ha già vissuto e, in larga parte, compiuto”: esplicito il riferimento all’unificazione, risalente al 1986, delle Diocesi di Orvieto e di Todi. “C’è ancora molto da fare – ha continuato – per superare l’illusione di essere ‘un solo corpo’ senza avere ‘un cuore solo e un’anima sola’ (At 4,32)”. Nella consapevolezza che la Diocesi ha il suo baricentro nel Duomo di Orvieto, “casa della Chiesa particolare” da sentire come propria dimora sia dai fedeli che dai pastori, occorre, dunque, vivere la “spiritualità della comunione”, anzitutto non disertando alcuni importanti appuntamenti ecclesiali.

Come “allenatore” e “arbitro” del gioco di squadra del Presbiterio, si è poi soffermato sull’importanza di essere in “perfetta unione di pensiero e di sentire” (cf. 1Cor 1,10); ciò costituisce anche il più sicuro investimento vocazionale, lontano anni luce da spregiudicate campagne acquisti di sedicenti seminaristi o di clerici vagantes. In ambito vocazionale, la fecondità è assicurata dalla testimonianza di una vita sacerdotale bella, felice e refrattaria al “malumore della mediocrità”.

Proseguendo il suo intervento ha evidenziato come, oggi, la nostra Chiesa particolare sia impoverita nel numero dei preti, delle persone consacrate e delle claustrali, e anche invecchiata nell’età media di coloro che vivono una qualche appartenenza ecclesiale. “È venuto il momento – ha, pertanto, detto – di mettere in atto delle forme di presenza pastorale coraggiose e innovative, concentrando le forze su alcune esperienze capaci di imprimere un nuovo indirizzo. Edificare comunità cristiane che evangelizzano con l’andatura della passione per la missione … A noi è affidata e chiesta questa sfida … Con la grazia di Dio abbiamo davanti un decennio per invertire la rotta … Il Signore ci dà la forza e la grazia, ma ci indica anche un tempo oltre il quale non possiamo andare”.

Alla luce di questa “agenda dell’essenziale”, occorre riordinare le priorità pastorali in una stagione ecclesiale chiamata ad assumere una corretta “postura sinodale”, che richiede di camminare insieme, varcare la stessa soglia, dimorare insieme, riunirsi e concentrarsi su ciò che è necessario, programmando su tempi medi e lunghi, ma decidendo su tempi brevi. Proprio per questo, la relazione di Mons. Gualtiero è stata scandita, fino a conclusione, con la sottolineatura di aspetti non più rinviabili.

“È ormai tempo – ha affermato – di prendere la ferma decisione di varare le Unità pastorali” (non “agglomerati” di parrocchie ancorate al proprio campanile, ma “infrastrutture” della “conversione missionaria della pastorale”). È questo uno dei principali tentativi in atto per intrecciare, con il “tratto della fraternità”, la “pastorale d’insieme”, una “scommessa”, che necessita anche della presa di coscienza che “il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo come un’opera collettiva” (Pastores dabo vobis, 17).

È ormai tempo, inoltre, di ravvivare il dinamismo della fraternità presbiterale, intercettando le affinità e le compatibilità di tipo relazionale che possano consentire di esplorare la frontiera di “una certa vita comune o una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse: può trattarsi, cioè, di coabitazione, là dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni” (Presbyterorum Ordinis, 8).

“È ormai tempo – ha poi aggiunto – di chiarire il profilo e le forme più coerenti sia per l’inclusione delle donne nei ministeri istituiti del lettore e dell’accolito, sia per l’esercizio del ministero di catechista … Si tratta di ravvivare la radice battesimale della ministerialità in genere, e del catechista in particolare, a cui è affidata la missione di coordinare l’opera di trasmissione della fede e, in mancanza di diaconi, la guida delle celebrazioni in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia”.

Ed ancora, ha affermato che è ormai tempo di avviare una formazione “catecumenale” che preveda la forza di piccoli cenacoli domestici per trasmettere la Parola di Dio a un popolo numeroso, magari attraverso la Lectio divina nelle case; di studiare anche e soprattutto nuove forme di dialogo con i giovani, la cui formazione cristiana “non può essere progettata come un ‘vaccino’ da inoculare e da richiamare con ‘eventi’ a ripetizione, ma deve essere pensata creando spazi di avvicinamento alla fede, dei ‘vestiboli’, in cui intercettare le incertezze, le speranze e i desideri propri dell’età della giovinezza”.

È ormai tempo di riscoprire, come Chiesa, la grazia di essere piccolo gregge dove i Presbiteri sono padri, senza farsi prendere dall’ansia del peso gestionale del patrimonio ecclesiastico, seppur essenziale nella vita sacerdotale; padri che sanno di contare su una Curia snellita, che formi alle urgenze della carità e dell’evangelizzazione.

Ha, quindi, di nuovo ribadito la valenza della Scuola diocesana di Teologia per una formazione di qualità, il cui terzo anno prenderà il via il prossimo 18 ottobre, e della Caritas diocesana, della quale ha annunciato l’inaugurazione del Centro operativo presso la parrocchia di Ponte del Sole, che avverrà il prossimo 18 novembre.

Tanto materiale, quello messo in campo dal Vescovo, su cui si è pregato e riflettuto altrettanto, sia durante la Concelebrazione eucaristica nel Santuario del Crocifisso (per leggere l’omelia clicca qui!) sia nel confronto scaturito dai vari interventi dei Sacerdoti, che hanno parlato nella seconda parte della giornata prima della recita dei Vespri.

Nella replica conclusiva, Mons. Gualtiero ha sottolineato ancora una volta l’urgenza della sintonia tra le varie componenti ecclesiali, la necessità di una formazione permanente per i genitori, i catechisti e gli insegnanti di religione, nonché l’esigenza di rendere operativi e assolutamente trasparenti in tutte le Unità pastorali sia il Consiglio Pastorale che i Consigli per gli Affari economici. Un lavoro goccia a goccia per rendere più fertile e fecondo tutto l’impegno che ci aspetta, dunque, per i prossimi dieci anni.

Un ringraziamento particolare è stato rivolto alla Famiglia dell’Amore Misericordioso per la consueta preziosa ospitalità.


L’intervento di Mons. Gualtiero Sigismondi


Celebrazione della S. Messa


Pranzo e momento di convivialità con i Padri dell’Amore Misericordioso