“Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28): ogni volta che ci accostiamo all’Eucaristia, consapevoli della nostra indegnità, ci faccia compagnia questa acclamazione che l’apostolo Tommaso, aperta una breccia nel muro della sua incredulità e inquietudine, ha pronunciato con un filo di voce e il cuore in fibrillazione. Incredulità e inquietudine costituiscono la sistole e la diastole della meraviglia di Pietro da Praga, che a Bolsena, nel 1263, ha visto e toccato il Sacro Corporale impregnato dal Sangue di Cristo. Incredulità e inquietudine sono, per così dire, le specie dello “stupore eucaristico”, con cui è necessario scandire il passo della Processione del Corpus Domini, una manifestazione di fede che, con l’avanzare del deserto della secolarizzazione, sembra andare contromano.
Percorrendo le vie della nostra città con il Santissimo Sacramento si incrocia il volto assorto di chi piange e quello distratto di chi non sa dove posare gli occhi. Si sente il grido di esultanza di chi in mezzo alla folla alza la voce della lode o, al contrario, il brusio di chi non volta le spalle ma passa oltre, tagliando la strada al popolo in cammino. Si vede la persona anziana in carrozzella che, come il paralitico sotto i portici della piscina di Betzatà (cf. Gv 5,1-9), chiede di essere guarita e chi, seduto al tavolino del bar, non è irriverente ma rimane indifferente. C’è pure chi si ostina a scattare fotografie a raffica sulla folla, con il grandangolo, senza zoomare sugli occhi dei fedeli. Non manca chi si affaccia alla finestra per vedere il corteo storico “in testa” e per posare lo sguardo sulla processione “in coda”, ma sono più numerosi coloro che scendono in strada per dare voce a quella “profonda nostalgia” di Dio che inquieta il cuore umano, “senza confini nelle sue aspirazioni”.
Fratelli e sorelle carissimi, la Processione, che oggi accompagna solennemente il Santissimo Sacramento per le strade della città di Orvieto, manifesta la nostra adesione alla volontà salvifica del Signore, che ci invita a raggiungere i “crocicchi delle strade” (cf. Mt 22,9). Sebbene siamo soliti partire dalle nostre case per convergere in chiesa, il congedo della liturgia eucaristica, “Ite Missa est”, indica che quella verso le case degli uomini è una circolazione obbligatoria: non va contromano! Occorre disporci a uscire dal tempio, allenandoci in ginocchio ai piedi dell’altare: “La fede vivente – assicura san Paolo VI – è fede irradiante”.
La Marcia della fede che, coprendo il tragitto da Bolsena a Orvieto, ha svegliato l’aurora di questo giorno di grazia ha la funzione di dare la nota alla Processione eucaristica, che è un pellegrinaggio di adorazione e di lode al Corpo donato e al Sangue versato dell’Agnello immolato. Fratelli e sorelle carissimi, siamo noi i Suoi piedi con cui Egli intende arrivare ovunque e a ogni persona; siamo noi le Sue mani con cui Egli soccorre e consola chiunque abbia bisogno di aiuto. È questo il “miracolo eucaristico” che quello di Bolsena evoca: la trasformazione della nostra vita mediante la conversione del cuore.
+ Gualtiero Sigismondi