“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5): nella prima lettura è risuonato questo lieto annuncio. “Oggi è nato per noi il Salvatore”: sono le parole che il ritornello del Salmo responsoriale ha messo sulle nostre labbra. Gesù “ha dato se stesso per noi” (Tt 2,14): è quanto ha assicurato San Paolo nella seconda lettura. “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,11): è il messaggio con cui l’angelo si è rivolto ai pastori, a Betlemme. La preposizione semplice “per” è una sorta di litania che, a Natale, scandisce la liturgia della Parola della Messa di mezzanotte. Si tratta di una preposizione semplice incastonata nel Simbolo della fede: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Si tratta di un “per” che regge il “con” iscritto nel nome di Gesù, l’Emmanuele, predetto dai profeti (cf. Is 7,14) come testimonia Matteo: “Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23). Nella Messa del giorno, il Prologo inserisce nel vocabolario natalizio altre due preposizioni semplici, “fra” e “in”, per esprimere, rispettivamente, che Israele non ha riconosciuto il Messia – “Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11) –, il quale nella “pienezza del tempo” è sceso sulla terra: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).
“È apparsa la grazia di Dio” (Tt 2,11), che ha steso le sue radici, affondate nei cieli, nel terreno del mondo, ove Gesù ha fatto germogliare la speranza. Papa Francesco, durante il suo recente viaggio apostolico nel Regno del Bahrein, una terra occupata dal deserto ma irrigata da sorgenti d’acqua dolce, ha suggerito un’immagine che può aiutarci a fare il pieno della “luce gentile” di questa “placida notte”. “C’è tanto deserto in noi, ma ci sono anche sorgenti d’acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo: in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide, mali personali e sociali di vario genere; ma nel sottofondo dell’anima scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità”.
Con la nascita del Salvatore è caduta dal cielo acqua dolce, che scorre nel sottosuolo come un fiume carsico, mentre in superficie ristagna l’acqua salata del peccato di Adamo. A Natale gli angeli, con l’inno del Gloria, annunciano ai pastori che il cielo ha inondato la terra di grande splendore. Giunti nella città di Davide, ristorati dal silenzio e ammaestrati dallo stupore con cui Maria, “acquedotto della grazia”, avvolge in fasce Gesù bambino, i loro occhi si immergono “in apnea” nella mangiatoia. Anche i Magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede”, giungono a Betlemme trasportati dalla corrente di una cascata di luce. Persino la trepidazione della fuga in Egitto non arresta il flusso d’acqua viva dell’immensa gioia del Natale che, a Pasqua, raggiungerà la massima portata.
La liturgia ci invita a sostare in profondo silenzio davanti alla genuina povertà del presepio, disponendoci a riconoscere che in Cristo Gesù “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). L’infinitamente grande si è fatto immensamente piccolo; il Dio ineffabile si è manifestato nella nostra carne mortale; la gloria dei cieli ha trovato posto in un frammento di terra “così piccolo per essere fra i villaggi di Giuda” (Mi 5,1); l’oceano di pace della divina misericordia è entrato nel letto fluviale del peccato del mondo; lo scoccare dell’ora della “pienezza del tempo” ha riportato “in principio” le lancette della storia; il Creatore, “avvolto in fasce”, è “adagiato in una mangiatoia”: “infrangibile fragilità”!
“Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo – scrive Paolo ai Corinzi –: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). Dio si è innamorato della nostra povertà! Nel canto natalizio più popolare, Tu scendi dalle stelle – scritto nel 1754 da Alfonso Maria de’ Liguori –, si osa esclamare che la povertà di Dio innamora, perché il Suo amore per noi l’ha fatto povero: “A te, che sei del mondo il Creatore, mancano panni e fuoco, o mio Signore (…). Quanto questa povertà più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora”. La povertà di Dio, apparsa a Betlemme, ci chiama – diceva Paolo VI – “a svincolare il cuore dall’amore delle cose terrene e a saperle considerare come buone solo quando ci sono scala per salire le vie dello spirito e ci sono specchio per riflettere la bellezza, la bontà, la Provvidenza di Dio”. Fratelli e sorelle carissimi, la povertà è il vero nome della libertà nell’amore!
+ Gualtiero Sigismondi
Orvieto – Basilica Cattedrale
24-12-2022