SOLENNITA' DI NATALE

Mistero di inaudita bellezza

25 dicembre 2022

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Letture: Notte Lc 2,1-14; Is 9,1-6; Tt 2,11-14; Giorno Gv 1,1-18; Is 52,7-10; Eb 1,1-6

“Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”

 

Un grido si leva dall’umanità: Pace

“Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente, o Signore, è scesa dai cieli, dal tuo trono regale” (cf. Sap 18,14-15). Queste parole del Libro della Sapienza, tratte dall’antifona d’ingresso della celebrazione del sesto giorno, fra l’ottava di Natale, sembrano dare a voce al “senso grave” dell’attesa celebrata in Avvento. Evocano le attese di un popolo, a cui Dio ha promesso la Pace come dono messianico per eccellenza e benedizione del cielo, garanzia di pienezza e di integrità, per una vita in armonia secondo la legge dell’amore. L’attesa che lascia il posto alla contemplazione di un bambino è il riflesso sulla terra di quella Gloria, cantata dagli angeli nella notte di Betlemme: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14). Ma quel popolo, che in tanta sua parte continua ad attendere, ha trovato la pace? Quelle stesse parole di attesa ancora oggi risuonano nel cuore di noi cristiani, in noi che abbiamo creduto alla sua venuta, che la celebriamo in questa notte, sembrano ancora non realizzate: dov’è la pace promessa? Anche noi torniamo fratelli nell’attesa con il popolo della prima alleanza. La nostra attesa è l’attesa anche di quell’umanità “che Egli ama” e facendoci voce di ogni uomo essa diviene invocazione: “Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” (Sal 13,2). Dov’è la pace, supremo dono messianico?

Ti cerchiamo Signore ma secondo i nostri schemi

Come vorremmo che la tua discesa dal trono regale coincidesse con il giudizio definitivo, descritto alla lettera nel testo sapienziale: “La tua parola onnipotente dal cielo, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile” (Sap 18,15). Ma tu sei sempre andato oltre ogni nostra attesa, così tanto, che le tue vie imperscrutabili, raggiungono vette quasi sempre inarrivabili! Chi poteva comprendere che la tua Onnipotenza poteva manifestarsi nella debolezza? Ci fai sostare nella notte, perché la vera Luce che viene nel mondo (cf. Gv 1,9) sia accolta, se non per consapevolezza, almeno per il rifiuto della notte che rigetta l’alba di un nuovo giorno. Rifiutando la notte della disperazione, dove il Maligno intende trascinare l’Autore stesso della vita, quella notte dove ha stabile dimora la guerra, nemica della pace, dove l’inerme sembra soccombere al malvagio invasore, tu o Signore, metti nel nostro cuore semi di Speranza e poni sulla nostra bocca il gemito dell’umanità intera: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella quanto resta della notte? Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!” (Is 21,11-12).

La notte, grembo della Speranza

L’attesa di questa notte che celebriamo ogni anno è una immersione nella Speranza, perché è fissata da un punto di non ritorno: “E il verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Il testo greco, nella forma verbale usata, indica un’azione puntuale, avvenuta in un momento ben identificato, le cui conseguenze permangono. Abbiamo bisogno di questa notte sintetizzata dal testo di Giovanni, che spalanca lo sguardo della fede oltre i confini del tempo, abbiamo bisogno di questa notte, raccontata dall’evangelista Luca, che racchiude nel tempo, in modo inaudito, ciò che la ragione non osa nemmeno immaginare: una donna, di nome Maria, diede al mondo, l’Autore della vita. “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” (Lc 2,6-7).

Solo attraverso la porta della contemplazione scorgiamo il Mistero che ci hai preparato

Mistero di inaudita bellezza, a Betlemme di Giudea, ove lo straordinario della presenza e del canto degli angeli è “costretto” a celebrare l’ordinario di una nascita, ove i gesti della tenerezza di una madre, descritti nel Vangelo, esprimono la tenerezza di Dio. A Betlemme, ove il Verbo si è fatto carne e l’umano descrive il divino. Con questo Tuo rivelarti, non secondo le nostre attese, Tu tracci percorsi difficili da interpretare per noi uomini appesantiti dalla vita, ma, per ogni uomo che rimane bambino, l’umiltà di Dio non è uno scandalo, ma la certezza della sua amorevole presenza, capace di realizzare la profezia di un mondo riconciliato: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa (Is 11,6.11). Nel tempo, Tu o Signore, continui il dialogo di speranza con l’umanità attraverso il Tuo Figlio Gesù, Verbo eterno fatto carne. Un dialogo iniziato dall’eternità: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto – Ecco, io vengo, poiché di me sta scritto nel rotolo del libro, per fare o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7). A noi, oggi, chiedi di essere artigiani della Speranza.