L’omelia del vescovo Gualtiero per la Messa crismale

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Non si può amare la Chiesa, “Corpo di Cristo organicamente strutturato”, senza cercarla nella Chiesa particolare, con tutte le ricchezze e le povertà che la caratterizzano. La Chiesa diocesana ha la sua epifania in questa celebrazione, “una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione con lui dei presbiteri e dei diaconi” che il Signore Gesù, “mediatore della nuova ed eterna alleanza”, “rende partecipi del suo ministero di salvezza”.

La benedizione del crisma, che dà il nome a questa solenne liturgia, è preceduta dalla rinnovazione delle promesse sacerdotali. Tale sequenza si discosta dall’antica tradizione, ma evidenzia maggiormente che il balsamo della missione presuppone l’olio fluente della comunione. La qualità della relazione tra vescovo, presbiteri e diaconi, tra ministri ordinati e popolo dei redenti ha delle ricadute immediate sulla missione della Chiesa. San Martino I, di cui oggi, secondo il Calendario romano, ricorre la memoria liturgica, nel confessare di essere rimasto “fortemente colpito per l’impietosa freddezza di quelli della sua cerchia”, lascia intendere che è impossibile camminare insieme senza “avere un cuore solo e un’anima sola” (cf. At 4,32).

“Non avremo mai uno stile evangelico nei nostri ambienti – avverte Papa Francesco – se non rimettendo Cristo al centro (…). Ciò che fortifica la comunione è poter pregare insieme (…), costruire rapporti che esulano dal semplice lavoro (…). Senza questo rischiamo di essere solo degli estranei”. Il ministero ordinato non rende solisti, ma dispone in coro. Il dono ricevuto con l’imposizione delle mani va custodito nell’ampolla della fraternità sacerdotale. Lo Spirito santo è “su di noi” (cf. Is 61,1) in rapporto all’intensità della comunione, che il Salmista paragona sia all’olio prezioso versato sul capo di Aronne, “che scende sulla sua barba fino all’orlo della sua veste”, sia alla rugiada dell’Ermon “che scende sui monti di Sion” (cf. Sal 133,2-3). Il verbo “scendere” esprime quello che opera l’olio genuino della fraternità, da conservare con grande cura, perché non diventi rancido.

“Non hanno olio”: la Madre di Gesù ci preservi da questa infausta diagnosi, che evoca la condizione venutasi a creare, per mancanza di vino, alla festa di nozze a Cana di Galilea (cf. Gv 2,3). In una stagione “segnata da dure prove e stimolanti avventure”, l’ampolla dell’olio di letizia della comunione deve essere versata nelle anfore della carità apostolica. A Cana le anfore di pietra che Gesù chiede ai servitori di riempire sono sei; l’agenda della conversione missionaria della pastorale potrebbe colmarle tutte, ma solo dopo aver stipato le prime tre.

C’è anzitutto l’anfora antica e sempre nuova della S. Messa, “fonte e culmine di tutta la vita cristiana”. Investire le migliori energie sul Giorno del Signore significa avviare, subito, un processo di riforma che tenga conto della “nobile semplicità” delle celebrazioni eucaristiche domenicali, della mobilità dei fedeli e della sostenibilità di una “attiva partecipazione” anche di chi presiede.

C’è poi l’anfora preziosa della trasmissione della fede, che ha la sua collocazione privilegiata in famiglia, ove può essere riempita di storia vissuta e travasata in appassionata testimonianza. Riscoprire, con coraggio creativo, la grammatica di base del “primo annuncio” e la sintassi semplice del “modello catecumenale” è una sfida che chiama a osare la “pastorale del campanello”.

C’è inoltre la grande anfora della carità, da colmare fino all’orlo e da mettere al centro della pastorale giovanile. Il “noviziato” della fede passa per il “postulandato” della gioia di spendersi nell’amore, che educa a restituire alle relazioni lo spazio occupato dalle connessioni e a discernere che non hanno consistenza umana e vocazionale i desideri soffocati dalla prepotenza dei bisogni.

Il Signore, che ha aperto una strada nel mare e anche nel deserto (cf. Is 43,16.19) facendolo fiorire (cf. Is 35,1-2), purifichi e rafforzi la nostra Chiesa particolare nell’adempimento di questo triplice compito e le doni unità e pace. A Lui chiediamo di effondere la rugiada dello Spirito sulla nostra Diocesi, caratterizzata da una forte varietà, che quando esalta i confini della diversità scade nel particolarismo, ma quando scopre la polifonia della comunione adempie la sua missione. Anteporre la coesione a ogni divisione è quanto chiede con forza il Settore giovani di Ac nel documento che mi ha consegnato come contributo al cammino sinodale. La bellezza della visione di Chiesa in esso contenuta, a cui mi dispongo a prestare la voce, spanda su questa assemblea il profumo pasquale della primavera. Ecco cosa domandano i nostri giovani, impegnandosi loro stessi a rispondere.

“Il coraggio di una Chiesa che cammini nel tempo senza andare dietro alle mode, che sappia entrare con delicatezza nella realtà, che non scada nell’ambiguità del compromesso ma che non abbia paura di abbassarsi per sollevare il lapso, che preferisca essere serva dei servi al pontificare. La sapienza di una Chiesa che poti i rami secchi e ricordi le sue radici: l’Eucaristia, la Parola, la vita comunitaria, il servizio fraterno. L’umanità di una Chiesa che metta al centro i volti e non le statistiche, che non ragioni secondo ottiche aziendali, dimenticando il primato della grazia. La fermezza di una Chiesa che si distanzi dagli estremismi del clericalismo e del laicismo, del tradizionalismo e del progressismo, del fondamentalismo e del bigottismo. L’ardore di una Chiesa che torni ad essere pellegrina, capofila nella sequela della voce dello Spirito e custode della presenza del Signore. La vitalità di una Chiesa in uscita che sia porto sicuro nelle navigazioni dell’esistenza. L’accoglienza di una Chiesa che valorizzi le energie dei giovani e l’esperienza degli anziani, che custodisca i bambini e accompagni gli adulti, che sappia essere vicina a chi è solo o emarginato”.

Fratelli e sorelle carissimi, nella sua Regola san Benedetto invita l’abate a consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante; spesso è proprio a loro che il Signore rivela i suoi sogni. Alle sostanze profumate che sto per versare nell’ampolla dell’olio per il santo crisma unisco il balsamo delle visioni dei nostri giovani, traducendo in una formula di benedizione l’acclamazione risuonata a Nazaret: “Si compia, in mezzo a noi, ciò che abbiamo ascoltato” (cf. Lc 4,21).

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto – Basilica Cattedrale

13-04-2022


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