L’11 agosto solenne Concelebrazione Eucaristica nel 60°anniversario della visita di Paolo VI a Orvieto

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Ricordando la ricorrenza dei 60 anni della visita di san Paolo VI ad Orvieto e invitando i fedeli a partecipare alla solenne Celebrazione che, per l’occasione, sarà presieduta l’11 agosto in Cattedrale, alle ore 11.30, dal Vescovo Gualtiero Sigismondi, riportiamo di seguito l’articolo di Don Marco Pagnotta, pubblicato sul settimanale regionale “La Voce” in data 2 agosto 2024.

 

Il prossimo 11 agosto nella Cattedrale di Orvieto il Vescovo Gualtiero, alle ore 11.30, presiederà una Celebrazione Eucaristica in occasione del 60° anniversario della visita di Paolo VI alla nostra Diocesi, avvenuta nel VII Centenario della bolla Transiturus. Durante la celebrazione di quella Messa il Papa pronunciò quello che lui stesso chiamò “Il messaggio di Orvieto”, lasciando al popolo orvietano una ricchissima eredità ecclesiale, teologica, spirituale e pastorale. Ancora una volta il Signore ci offre un’occasione preziosa per specchiarci con onestà di fronte al mistero dell’Eucaristia, che è il punto di partenza e di arrivo di ogni impegno pastorale, che oggi come non mai necessita di essere improntato ad uno stile puntualmente sinodale. Non è mai casuale, né questione di pressante invito, che un Papa si rechi pellegrino in un luogo piuttosto che altrove, e questo possiamo comprenderlo bene se facciamo nostre le stesse parole di Paolo VI: “Noi vi diremo, innanzi tutto, che questi motivi Noi li sentiamo potenti ed urgenti nel Nostro spirito; non saremmo altrimenti arrivati quassù, se ragioni del tutto speciali non Ci avessero spinti ad uscire dall’ambito consueto e ristretto in cui si svolge la vita del Papa, per venire a rendere omaggio a Orvieto (e associamo nel Nostro pensiero la vicina e diletta Bolsena), e alle sue commemorative festività. Questo già vi dice quanta importanza Noi attribuiamo a ciò che stiamo visitando e celebrando, e quanto merito gli riconosciamo, affinché sia largamente conosciuto e venerato”.

E poi prosegue: “Ma qui, Fratelli e Figli, qualche cosa di tremendo ci attende, qualche cosa di decisivo e cioè il nostro contegno interiore nei confronti del mistero eucaristico, al quale in sostanza tutto questo apparato esteriore fa da cornice. Il mistero eucaristico: come ci trova davanti a sé? Come ci definisce? Fedeli, entusiasti e rapiti dalla adesione franca e totale al mysterium fidei? Incerti e dubbiosi, come il Sacerdote forestiero di Bolsena? Pensosi e critici, desiderosi di risolvere in termini prosaici, demitizzati, come fosse un enigma tormentoso […]? Ovvero indifferenti e refrattari a questo supremo e difficile discorso, facili disertori dal convito del regno di Dio, a cui tutti siamo invitati?” (Dal Discorso di Orvieto di Paolo VI, 11 agosto 1964).

A distanza di 60 anni, le parole scolpite da Paolo VI su ogni sampietrino delle piazze e dei vicoli orvietani, sembrano sbiadire generazione dopo generazione. Non è certo questa una sterile denuncia di uno status quo, ma sono le parole che accendono il sano desiderio di veder tornare su qualche comodino due fogli sgualciti datati 11 agosto 1964 a firma di un Papa e destinati proprio al popolo orvietano. Ma abbiamo davvero bisogno di “eventi” e “anniversari” per riscoprire questo immenso tesoro, per ritrovare il senso e la gioia della presenza di Cristo, silenzioso e vivo? Mi torna improvviso il ricordo di un anziano prete che, in una chiesetta quasi abbandonata tra le montagne svizzere, stendeva le mani tremanti e rugose su un calice e una patena, un gesto ripetuto nei suoi oltre 50 anni di servizio alla Chiesa, il gesto che rende presente ogni giorno, su ogni altare della terra Cristo vivo e vero. E allora mi interrogo: con quelle mani, con quel gesto il vecchio prete montano non crea un “evento”? Non è quello un anniversario?

“Voi sentite sorgere nei vostri animi, risvegliati da queste celebrazioni, una luce – prosegue il messaggio – una forza spirituale, che potremmo chiamare il messaggio di Orvieto: […] non creda l’uomo di oggi che il tesoro di fede e di bellezza che gli viene dalla storia e dalla civiltà cristiana abbia ormai un semplice valore archeologico e folcloristico, e non pensi di poterlo degnamente conservare e conservare come un cimelio prezioso, sì, ma spento di verità e di realtà interiore: diventerebbe cenere nelle sue mani”.


Pagina diocesana de “La Voce” del 2 agosto 2024 (Pdf download)