La memoria architettonica di questo tempio, intitolato al Patrono della nostra Diocesi di Orvieto-Todi, documenta la vita venerabile di San Fortunato, Defensor fidei et civitatis. Egli, in un tempo di grandi difficoltà e cambiamenti socio-politici, si è impegnato a edificare la Chiesa consolidando la comunità degli uomini, impregnando la società terrena dei valori del Regno dei cieli. Il suo zelo pastorale per la “città di Dio” e la “città dell’uomo” è simboleggiato dalla mole del campanile cuspidato di questo tempio, che apre lo sguardo su vasti orizzonti.
Nella prima lettura, che racconta la grande opera di riparazione del tempio di Gerusalemme compiuta da Simone, figlio di Onia, sommo sacerdote (cf. Sir 50,1-11), la liturgia della Parola ci invita a scorgere una figura emblematica della sollecitudine pastorale esercitata da San Fortunato. Egli ha edificato la comunità cristiana sulla roccia della fede della Chiesa (cf. Mt 7,21.24-25), mosso dalla consapevolezza che, nella reciproca distinzione degli ambiti, l’attenzione alla città non è separabile dall’impegno ecclesiale. Anche noi, in questo “cambiamento epocale”, non possiamo confinare la fede nello spazio privato, altrimenti costruiremmo sulla sabbia, anziché sulla roccia.
– Costruisce sulla sabbia chi innalza mura di cinta; edifica sulla roccia chi getta nuovi ponti.
– Costruisce sulla sabbia chi non lavora “in team”; edifica sulla roccia chi opera “in squadra”.
– Costruisce sulla sabbia chi soffre di nostalgia; edifica sulla roccia chi ha senso di prospettiva.
– Costruisce sulla sabbia chi non ha entusiasmo; edifica sulla roccia chi tiene viva la speranza.
– Costruisce sulla sabbia chi trascura la formazione; edifica sulla roccia chi cerca la Sapienza.
Nell’interessante dibattito aperto da Avvenire sulla crisi di identità e di incidenza della cultura cattolica, mi ha colpito l’impietosa diagnosi di Pierangelo Sequeri: “Molta morale, poca comunità, zero cultura”. A mio giudizio la diagnosi è ancora più infausta: “Niente morale, poca comunità, zero cultura”. “Niente morale”: è la condizione in cui versa la famiglia, in emergenza educativa oltre che affettiva e demografica. “Poca comunità”: lo indica non solo la crisi della partecipazione alla Messa domenicale, ma anche la resistenza a “camminare insieme”. “Zero cultura”: lo dimostra la reticenza a riconoscere che solamente una fede pensata e condivisa, non confinata o rannicchiata in sacrestia, “rende ragione della speranza” (cf. 1Pt 3,15).
Si muove in questa direzione la proposta formativa che la Scuola diocesana di Teologia offre a chiunque intenda ricevere o continuare a svolgere alcuni ministeri istituiti o di fatto, “il cui apostolato laicale, che arriva al fronte della Chiesa, ha una radice battesimale”. “Lo studio autentico – scrive Leone XIV nel messaggio inviato il 9 ottobre scorso alla Pontificia Università Urbaniana, immaginando ciò che Sant’Agostino raccomanderebbe (cf. De Doctrina Christiana, I,36) – non sia mai fine a se stesso, ma sia piuttosto strumento per elevare l’anima verso le realtà eterne. Si tratta di non considerare lo studio un mero esercizio intellettuale, ma un cammino che conduce alla Sapienza, in cui si congiungono la verità cercata e il Dio che si lascia trovare. Lo studio è proiettato al servizio di coloro che attendono parole di speranza e segni di carità, indizi di verità e garanzie di libertà”.
Fratelli e sorelle carissimi, “chiamati a vivere da cristiani nell’odierna società plurale”, non possiamo sottrarci a questa sfida, sebbene sia molto impegnativa. Come ebbe a dire al clero romano, il 7 settembre 1978, il Beato Giovanni Paolo I, è necessario allenarsi alla disciplina di uno sforzo “continuato, lungo, non facile”. “Perfino gli angeli visti in sogno da Giacobbe non volavano, ma facevano uno scalino per volta; figuriamoci noi, che siamo poveri uomini privi di ali”. San Fortunato, che nel secondo quarto del VI secolo ha dissodato la nostra terra, ci sollecita a irrigare quanto ha piantato e ci invita a farlo con serena fiducia, perché Dio fa fiorire la steppa (cf. Is 43,16-21) e germogliare l’albero secco (cf. Ez 17,24).
La solennità di San Fortunato ci chiama a inserirci in una ricca storia di grazia, per custodirla e rinnovarla, facendo nostro l’auspicio espresso dal Santo Padre nell’esortazione apostolica Dilexi te: “Una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno”. San Fortunato che, come suggerisce la lex orandi, “splende come fiaccola nella Chiesa di Dio”, “dalla città dei santi, dove regna glorioso, ci guidi e ci protegga”.
+ Gualtiero Sigismondi

