Festa della dedicazione della Cattedrale 2025

Nella solennità della dedicazione della nostra Cattedrale, mirabile intarsio tra fede e arte, ricordiamo il giorno della posa della prima pietra, da parte di Papa Nicolò IV. Qui, a partire dal 13 novembre 1290, architetti, ingegneri, operai, carpentieri, maestri vetrai, falegnami, scultori, marmisti, si sono passati il testimone del loro “progettare costruendo”. Chiunque sia intervenuto in corso d’opera ha contribuito a portare a compimento un disegno realizzato a più mani nella trama del tempo. La nostra Cattedrale, autentica narrazione in pietra del mistero cristiano, ci invita a cogliere in essa ben più di uno spazio liturgico, “ma il vero santuario di Dio che è il Cristo morto e risorto”.

L’architettura di questo edificio sacro ci aiuta a capire come si edifica la Chiesa, comunità “gerarchicamente strutturata” regolata da una “corresponsabilità differenziata”. La nostra Cattedrale si regge sull’equilibrio statico tra le spinte esercitate dai muri portanti della navata centrale, di notevole sviluppo verticale, e quelle dei contrafforti delle navate laterali. Questo equilibrio delle forze assicura staticità anche al transetto, le cui spinte assorbono quelle delle cappelle del Sacro Corporale e di San Brizio. Per una analogia che non è senza valore, il cantiere della Chiesa – aperto dallo Spirito e in continuo allestimento – si sviluppa edificando le “pietre vive” sopra “il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,20). In Lui, “pietra scelta e preziosa davanti a Dio” (1Pt 2,4), “tutta la costruzione cresce ben ordinata” (Ef 2,21).

Venire edificati insieme, sulla “pietra eletta” che è Cristo, è il presupposto “per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,22). “Fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari” – diceva Papa Francesco –, è la condizione affinché la forma sinodale della Chiesa diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire. Armonizzare la ricchezza dei carismi, nelle loro differenze e complementarietà, “non è tanto un piano da programmare e da realizzare, ma anzitutto uno stile da incarnare”, a servizio della missione. La vita pastorale è sempre un atto comunitario, in cui nessuno basta a sé stesso. Ogni voce, ogni gesto, ogni competenza contribuisce a un’opera corale che può esistere solo nell’insieme.

“Prima di qualsiasi differenza – avverte Papa Leone XIV –, siamo chiamati (…) ad abitare con fiducia e con spirito nuovo le tensioni che attraversano la vita della Chiesa – tra unità e diversità, tradizione e novità, autorità e partecipazione –, lasciando che lo Spirito le trasformi, perché non diventino contrapposizioni ideologiche e polarizzazioni dannose. Non si tratta di risolverle riducendo l’una all’altra, ma di lasciarle fecondare dallo Spirito, perché siano armonizzate e orientate verso un discernimento comune (…), che richiede libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca, apertura alle novità e abbandono alla volontà di Dio”.

Custodire la “comunione delle differenze” è “àncora di salvezza, in tempesta, e vela spiegata, in bonaccia”. Solo restando uniti, nella “policromia dell’unità” e nella “polifonia della comunione”, si edifica la Chiesa, “civitas peregrina”. “La carità vissuta – osserva il Santo Padre – modella il nostro volto di Chiesa”. L’unità è la forza profetica della missione della Chiesa, esposta alla tentazione di “spegnere lo Spirito” (cf. 1Ts 5,19-20), di non essere agile e reattiva al Vangelo. Tale vulnerabilità, quando si manifesta, si configura come una profanazione, simile a quella condannata con grande zelo da Gesù il quale, dopo il segno di Cana, si reca a Gerusalemme in prossimità della festa di Pasqua e vede il tempio ridotto a un mercato (cf. Gv 2,13-22).

Cari fratelli e sorelle, un aspetto essenziale della funzione, anzi, della missione di una Cattedrale è la liturgia, “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e fonte da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum Concilium, 10). “La sua cura – raccomanda Leone XIV, facendo esplicito riferimento alla Basilica di San Giovanni in Laterano – dev’essere tale da potersi proporre ad esempio per tutto il popolo di Dio, nel rispetto delle norme, nell’attenzione alle diverse sensibilità (…) e nella fedeltà a quello stile di solenne sobrietà tipico della tradizione romana”. Cari presbiteri e diaconi, occorre porre ogni attenzione affinché la bellezza semplice dei riti possa esprimere il valore del culto e spingere i fedeli, al momento del congedo, a mettere il punto esclamativo alla domanda che Salomone si pone davanti all’altare, di fronte all’assemblea d’Israele raccolta in preghiera nel tempio: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?” (1Re 8,27). Sì, è proprio vero!

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto, Basilica Cattedrale
16-11-2025