La preghiera di suffragio e di conforto, piena di speranza, ci raccoglie numerosi attorno all’altare e ci stringe in un forte abbraccio accanto a don Augusto, che con la sua morte riconsegna al “Pastore dei pastori”, il Pastore eterno, i frutti del suo ministero terreno.
Il Signore, che dispone i tempi del nascere e del morire, lo ha accolto nella sua pace nel giorno in cui la liturgia, con l’austero simbolo delle ceneri, ci riporta all’essenziale: siamo polvere, la nostra vita è come un soffio (cf. Sal 39,6; 144,4), ma Dio non permette che svanisca. “Egli – osserva Papa Francesco – raccoglie e plasma la polvere che siamo, perché non venga dispersa dai venti impetuosi della vita e non si dissolva nell’abisso della morte (…). Siamo cenere su cui Dio ha soffiato il suo alito di vita, siamo terra che Egli ha plasmato con le sue mani (cf. Gen 2,7; Sal 119,73), siamo polvere da cui risorgeremo per una vita senza fine (cf. Is 26,19) (…): siamo polvere amata da Dio, chiamata a essere polvere innamorata di Dio”.
Fratelli e sorelle carissimi, ci sono coincidenze che è difficile non definire disegno. La morte di don Augusto è avvenuta nel giorno di S. Valentino, patrono degli innamorati, molti dei quali – una moltitudine immensa! – egli ha preparato al sacramento del Matrimonio ricevendo il loro consenso. Questa coincidenza è una “carezza” di quella “provvidenza d’amore” che ha introdotto don Augusto nella stanza nuziale del cielo, “la città santa, la nuova Gerusalemme, la dimora di Dio con gli uomini, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (cf. Ap 21,1-5).
L’ultimo tratto del suo pellegrinaggio, segnato dalla malattia, è costellato di feste mariane: me ne ha parlato lui stesso, confidandomi che sarebbe entrato al Policlinico Gemelli nella memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes; celebriamo le sue esequie nel giorno in cui si ricordano i Santi sette Fondatori dell’Ordine dei Servi della Beata Vergine Maria. La devozione di don Augusto per la Madonna è documentata da una testimonianza che ho raccolto dalle sue labbra: “Ho recitato il Rosario ogni giorno, con un fervore così vivo che ha superato l’impegno della Liturgia delle ore”.
Questo edificio di culto, intitolato a Maria Ss. Madre della Chiesa, è tra i doni di fede più grandi che don Augusto lascia alla comunità parrocchiale che ha visto crescere lungo l’argine sinistro del Paglia, all’ombra della Rupe, e che ha voluto porre sotto il manto della Vergine Maria la quale, ai piedi della Croce (cf. Gv 19,25-27), “per il testamento d’amore del suo Figlio”, è diventata Madre della Chiesa. “Donna, ecco tuo Figlio!” (Gv 19,26): queste parole di Gesù rivelano che il suo primario intento non è quello di affidare la Madre a Giovanni, ma di consegnare il discepolo a Maria, assegnandole una missione materna d’intercessione e di grazia.
Fratelli e sorelle carissimi, don Augusto ha avuto per questa parrocchia un’autentica “cotta”, confessando, in occasione del suo giubileo sacerdotale, che ne ha visto anche le rughe, perché quando si guarda il volto della propria sposa le rughe si notano, si osservano ma, a poco a poco, si scopre che anch’esse ne modellano la bellezza. In questa comunità egli ha giocato tutta la “partita” del suo sacerdozio ministeriale; è sceso subito in campo come missionario del Vangelo, avendo appreso alla scuola di don Marzio Miscetti a prendersi cura dei malati, dei poveri e dei giovani in particolare, ai quali ha trasmesso che la libertà non è esente da falli e non ha rinunciato a fischiarli.
Don Augusto, un prete “in uscita” ante litteram, da appassionato del calcio quale era, sapeva che la tifoseria non sta in tribuna ma in curva. Nel campo della vita pastorale non si è fatto condizionare né dagli applausi né dai fischi, ma ha giocato fino alla fine, fino ai “rigori”, quelli della sofferenza. Nella sua lunga stagione sacerdotale ha allenato diversi preti a gustare croci e delizie del ministero, testimoniando loro che la partita di una parrocchia si sviluppa a tutto campo: non c’è spazio per chi non sa fare gioco di squadra o si limita a spazzare la palla in tribuna. Anche a me ha lasciato intendere che, a Ciconia, il vescovo è un guardalinee che coadiuva l’arbitro.
Don Augusto carissimo, possa tu “godere in cielo della piena visione dei misteri di cui sei stato dispensatore sulla terra”. Il tuo corpo scende nello spogliatoio della terra, ma il Signore, che ha vinto il campionato contro la morte, sconfiggendola, ti ha riservato la veste della vita immortale. Dalla “curva” del cimitero di Capretta, continua a fare il “tifo” per questa parrocchia e dalla “tribuna” del Cielo supplica il Signore di mandare operai in questo “filare” della sua Vigna.
+ Gualtiero Sigismondi