Giuseppe, “uomo giusto”, dal cuore integro, “ultimo dei patriarchi”, silenzioso e coraggioso, concreto e generoso: le sorti del mondo sono affidate ai suoi sogni. La casa di Nazaret è pronta, il matrimonio è già contratto, Maria abita i suoi pensieri: tutto racconta una storia d’amore puro, cioè gratuito. Improvvisamente, Ella “si trova incinta per opera dello Spirito santo” e Giuseppe pensa di “ripudiarla in segreto” (cf. Mt 1,18-25). Egli, comunque, protegge Maria, “sua sposa”, esposta al rischio di essere lapidata. Si dibatte dentro un conflitto emotivo e intellettivo: da un lato l’obbligo di denuncia (cf. Dt 22,22) e dall’altro la fedeltà alla promessa sposa. E accade l’imprevisto, inedito e sorprendente: Giuseppe fa un sogno, che non lo esime dalla fatica e dalla libertà di osare una scelta: “Non temere di prendere con te Maria, tua sposa” (Mt 1,20).
Il primo tratto che colpisce di Giuseppe è l’amorevole cura con cui si fa carico di Maria e di quel Figlio non suo. Li ama come richiesto dall’angelo del Signore, andando oltre la giustizia e, superato il comprensibile timore, si assume la responsabilità paterna di far crescere Gesù. Giuseppe non lo lega a sé, ma lo custodisce! Egli compie scelte coraggiose che determinano una svolta nella Famiglia di Nazaret, come la fuga in Egitto (cf. Mt 2,13-18). E tuttavia, Giuseppe è e resta un uomo “ordinario”: un umile lavoratore, come dimostra il fatto che è chiamato “il falegname” (cf. Mt 13,55). Egli è uno sposo fedele, pienamente consapevole della maternità divina di Maria, a cui lascia la parola quando Gesù viene ritrovato nel tempio, a Gerusalemme (cf. Lc 2,48). Giuseppe è un padre esemplare, capace di mantenere in tensione dinamica giusto attaccamento e necessario distacco, come appare a Betlemme, quando all’arrivo dei Magi rimane nell’ombra, in disparte (cf. Mt 2,11).
Giuseppe sa coniugare correttamente il verbo “amare”: colpisce la sua capacità di combinare passione ed eleganza, passione e sacrificio, passione e distacco. Gesù, nella casa di Nazaret, non respira l’aria viziata dalla prepotenza degli istinti sulla forza dei sentimenti e delle emozioni. Disarmante è l’obbedienza di Gesù, autentico “habitus della libertà”: Egli, quando viene ritrovato nel Tempio, chiede a Maria e Giuseppe: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49); e tuttavia, non esita “a stare loro sottomesso”, crescendo “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (cf. Lc 2,51-52).
Gesù, fanciullo e adolescente, nella bottega di Giuseppe assume una “postura affettiva” corretta, che durante la sua attività pubblica si manifesta nello stile con cui stringe le proprie relazioni. Colpisce, anzitutto, l’eleganza della discrezione con la quale sosta nella casa di Betania, ove non cerca un riparo per “posare il capo”, ma un luogo familiare in cui riprendere fiato (cf. Lc 10,38-42). Egli, alla morte di Lazzaro, non nasconde a Marta e a Maria il proprio turbamento, la commozione e le lacrime (cf. Gv 11,17-37); addirittura, si lascia cospargere i piedi di puro nardo, consentendo a Maria anche di asciugarli con i suoi capelli (cf. Gv 12,1-8). Sorprende, inoltre, la confidenza e la delicatezza con cui chiama “amici” i discepoli (cf. Gv 15,12-17) e, al tempo stesso, l’autorevolezza con la quale non esita a chiedere ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?” (cf. Gv 6,67-69). Gesù non li travolge con la passione di un amore possessivo: cerca il loro assenso, di cui conosce la fragilità e la grandezza, sopporta la debolezza e perdona il peccato.
Fratelli e sorelle carissimi, “con sincero esame giudichiamo i nostri intimi affetti”, perché “niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce” (Ger 17,9). Cerchiamo di vedere se si trova in esso qualche frutto di carità: non confondiamo l’amore con il possesso, che è pulsione istintiva, narcisismo autistico, analfabetismo affettivo. L’intuizione del limite, l’attenzione all’interiorità e l’intenzione del rispetto sono un corredo di sapienza essenziale nel vocabolario dell’amore. La maturazione personale e comunitaria di questa sapienza affettiva, che conosce l’arte di conciliare dedizione dell’attaccamento e prontezza al distacco, è certamente impegnativa, ma non è impossibile per chiunque ami la libertà altrui più della propria.
Nell’iconografia più comune san Giuseppe è raffigurato con un bastone, che è un ramo di nardo, da cui sbocciano gigli. Affidiamoci alla sua paterna intercessione, per imparare ad amare senza possedere e senza trattenere, spandendo il balsamo di una vita santa, quella del dono di sé, dal profumo intenso e delicato, come quello dei gigli.
+ Gualtiero Sigismondi
Orvieto – Cattedrale
19-03-2024