Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria – L’omelia del Vescovo Gualtiero

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

“Grandi sono le opere del Signore” (cf. Sal 111,2). Questa professione di fede, pronunciata dal Salmista, è particolarmente adatta a esprimere la meraviglia della Chiesa dinanzi al mistero dell’Immacolata, “mistica aurora della redenzione”. Il Signore ha voluto aver bisogno della libertà di Maria, silente e ignara di sé, per dare inizio al suo disegno universale di salvezza; ha voluto aver bisogno del suo Cuore immacolato, in cui la pienezza della grazia risplende, come in una vetrata istoriata, nella limpidezza dello sguardo. È il pudore a renderlo luminoso: esso è per il corpo di Maria quello che, a giudizio di San Bernardo, “l’umiltà è per la sua mente”.

Il pudore scorta ogni passo compiuto dalla Vergine Maria dal Fiat dell’Annunciazione all’Amen della sua Assunzione al cielo. A Nazaret il pudore del suo turbamento sembra schivare lo sguardo di Dio, come si evince, entrando in Porziuncola, dalla pala d’altare di Prete Ilario da Viterbo (1393). Il giorno della Visitazione, al saluto di Elisabetta, il pudore viene interpretato dal Magnificat, che attribuisce all’Onnipotente le “grandi cose” (cf. Lc 1,49) operate in Lei. A Betlemme il pudore è avvolto nelle fasce dello stupore con cui Maria custodisce e medita quello che i pastori dicono del Figlio suo (cf. Lc 2,18-19). A Cana il pudore si spinge fino alla soglia dell’intercessione: “Non hanno vino” (Gv 2,3). Quando la Madre di Gesù e i suoi fratelli si recano a fargli visita, il pudore è espresso dalla discrezione con cui viene mandato a chiamare, “stando fuori” dalla casa in cui si trova a predicare (cf. Mc 3,31-35). Ai piedi della croce il suo dolore, velato dal pudore, tocca i fondali della desolazione senza raggiungere gli abissi della disperazione. Il giorno di Pasqua non c’è traccia di Maria: la sua gioia è ammantata di pudore, fino a Pentecoste, quando raggiunge la pienezza.

Volgendo lo sguardo alla “Tota Pulchra”, la cui bellezza verginale è avvolta nella tunica del pudore, dobbiamo confessare apertamente che abbiamo perso il senso del pudore: siamo spudorati! Lo sono i nostri occhi, quando cercano quello che la concupiscenza rivendica e che i nostri abiti ostentano. Lo sono i nostri cuori, quando antepongono gli istinti agli affetti e sottopongono questi ultimi alle passioni dei primi. Lo sono le nostre menti orgogliose e ribelli, quando sono oppresse dalla volontà di possesso e di dominio. Lo sono le nostre mani, quando manipolano il proprio corpo e sono predatrici con quello altrui. Lo sono i nostri piedi, quando voltano le spalle al bene e si inoltrano verso paesi lontani. Lo sono le nostre labbra, quando proferiscono parole prive di verecondia, perché non conoscono la voce del profondo silenzio, osservato da Maria Vergine: quello obbediente del Fiat ed esultante del Magnificat, quello pensante a Betlemme e trepidante al Tempio di Gerusalemme, quello disarmante a Cana di Galilea, sospirante al Golgota e benedicente a Pentecoste.

Il tessuto di “lino puro splendente” della tunica del pudore che avvolge la “Tota Pulchra” è ricamato dal “filo di Scozia” del silenzio. Il linguaggio non verbale è, per così dire, l’alveo delle lacrime di gioia e di dolore, il vivaio dei sospiri dell’attesa, il gemito della pazienza nella sopportazione, il sussurro della carità ardente, il soffio leggero della libertà nell’amore. Il respiro del profondo silenzio non ha l’alito cattivo dei silenzi pavidi e cortigiani, il cui campionario è piuttosto vasto. C’è, anzitutto, il silenzio insopportabile dell’ipocrisia e quello omertoso della complicità nella ricerca di qualche interesse egoistico; c’è pure il silenzio della malizia che, quando viene rotto, partorisce menzogna; c’è anche il silenzio vile della slealtà, cassa di risonanza dell’infedeltà, e quello tossico delle intenzioni cattive; c’è, infine, il silenzio assordante dell’ingratitudine, che non conosce il Cantico di Maria e si configura come una vera e propria frode.

Vergine Immacolata, “Vergine e Sposa”, tu hai lasciato sulla terra la traccia di una purezza intatta; in te la melodia del pudore, che ha alzato il tono al saluto dell’Angelo (cf. Lc 1,29), intreccia l’armonia della docilità: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua Parola” (Lc 1,38). Tu sei Madre, conosci le nostre fatiche e le nostre ferite: “preservaci da quelle cadute di stile che mettono a nudo lo spirito rozzo che ci portiamo dentro”. “Tu nutri sul tuo seno il Dio che ti ha creato”: ottienici dal Figlio tuo un linguaggio mite, “che non conosca i fremiti dell’orgoglio e dell’ira”, occhi limpidi, “che vincano le torbide suggestioni del male”, un cuore puro, “fedele nel servizio, ardente nella lode”. “Regina degli Angeli”: gli otri del pudore, “collirio” dello stupore e “balsamo” della meraviglia, sono vuoti: riempili fino all’orlo!

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto – Basilica Cattedrale
08-12-2023