Solennità del Corpus Domini, Messa del Giovedì 2023 – L’omelia del Vescovo Gualtiero

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L’inondazione di luce del tempo pasquale arriva fino alla solennità del Corpus Domini che fa da baricentro tra l’Ascensione, la Pentecoste, la Ss. Trinità, da un lato, e il Sacratissimo Cuore di Gesù, la Natività di San Giovanni Battista, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, dall’altro. La liturgia della solennità del Ss. Corpo e Sangue di Cristo dilata la celebrazione eucaristica lungo le strade, sottolineando questa parola di Gesù: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51).

Molti discepoli, dopo aver ascoltato il discorso sul pane della vita, esclamando si interrogano: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Questa stessa perplessità ha scosso, a Bolsena, Pietro da Praga, nel 1263. Ma il Signore ha stupito i suoi occhi e sciolto i nodi del dubbio. La meraviglia stupenda suscitata dal miracolo di Bolsena si è manifestata, prima ancora che nella grande opera di questa Cattedrale, nel cantiere dell’Ufficio della festa del Corpus Domini, di cui San Tommaso d’Aquino è l’architetto che traduce in poesia la teologia eucaristica.

L’odierna solennità ci sollecita a ravvivare la “spiritualità dell’essenziale”, come ebbe a dire Paolo VI nel “Messaggio di Orvieto”, consegnato in questo Duomo in occasione della sua visita pastorale, compiuta l’11 agosto 1964. La “spiritualità dell’essenziale” manifesti – raccomandava Papa Montini – la nostra identità “di figli saggi e custodi amorosi di tradizioni piissime e popolari”, sorte ove Gesù si è degnato di lasciare l’impronta del suo preziosissimo Sangue, “versato per tutti in remissione dei peccati”. La “spiritualità dell’essenziale” è nutrita dallo “stupore eucaristico”, che manifesta la qualità della nostra fede. Quella eucaristica è, per così dire, “presenza per antonomasia” della “realtà personale del nostro Signore”, appuntava il card. Joseph Ratzinger nel libro d’onore del nostro Duomo il 1° giugno 1986, solennità del Corpus Domini.

Fratelli e sorelle carissimi, la “frazione del pane” presuppone l’ascolto delle Scritture, come insegna il Risorto a due discepoli lungo la strada che conduce a Emmaus (cf. Lc 24,13-35). Senza “ruminare” la Parola non è possibile “assimilare” il pane eucaristico. Ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo non è un diritto ma un dono da accogliere con cuore libero e ardente, contrito e umiliato. L’Eucaristia nutre la nostra conversione senza annullare il sacramento della Riconciliazione, “seconda tavola di salvezza dopo il Battesimo”.

Nella preghiera eucaristica due volte si invoca lo Spirito santo: perché il pane diventi Corpo di Cristo e perché a tutti coloro che lo assumono sia concesso di diventare “un solo corpo e un solo spirito”. La verità ultima della “frazione del pane” è frantumarsi nella carità: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo” (1Cor 10,17). Si compie una vera e propria profanazione eucaristica quando nella Chiesa manca il gusto di “camminare insieme”, la delizia di avere “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32).

Il magistero silenzioso dell’Eucaristia insegna a diventare “lievito del mondo”. L’altare del Signore sporge sulla città degli uomini: è per questo che con culto pubblico e festoso la Chiesa celebra la solennità del Corpus Domini. Disponiamoci a inoltrarci, con il Santissimo Sacramento, lungo le strade della nostra città di Orvieto, spingendo lo sguardo verso la Cappella di San Brizio, i cui affreschi raccontano quanto Gesù promette: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).

“Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto” (Dt 8,2). L’imperativo con cui Mosè invita Israele a non dimenticare che Dio lo ha messo alla prova e nutrito di manna è diretto anche a noi, custodi del miracolo di Bolsena. Siamo troppo esposti al rischio, per riprendere un’acuta osservazione del card. Giacomo Biffi, di dimenticare il “Festeggiato”: Cristo Signore. Il calice della benedizione che contraddistingue Orvieto non è quello raffigurato ai piedi della Rupe, lungo la strada: indica le cantine non la Cattedrale!

“Concedi alla tua Chiesa, o Signore, i doni dell’unità e della pace, misticamente significati nelle offerte che ti presentiamo”. Questa orazione, che oggi la liturgia ci suggerisce, salga dal profondo dei nostri cuori in festa, perché Dio, come recita l’antifona d’ingresso, continua a nutrire il suo popolo con “fiore di frumento” e a saziarlo con “miele dalla roccia” (cf. Sal 80,17).

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto – Basilica Cattedrale
08-06-2023