Santa Messa del Giorno di Pasqua, Mons. Sigismondi, citando un’omelia siriaca anonima: “Oggi il Sole di giustizia si è manifestato non dal cielo, ma dagli inferi …”

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail
Domenica 31 marzo, Giorno di Pasqua, il Vescovo ha presieduto, alle ore 18.00, la solenne Concelebrazione nella Basilica Cattedrale di Orvieto.
Nella omelia ha fatto riferimento all’opera del Vannucci, “La Risurrezione di san Francesco al Prato”, conservata nella Biblioteca privata del Papa presso il Palazzo Apostolico Vaticano, che ha potuto ammirare nella recente Visita ad limina. Un capolavoro, i cui particolari hanno richiamato alla sua mente un’omelia siriaca anonima (V-VI secolo): “Oggi il Sole di giustizia si è manifestato non dal cielo, ma dagli inferi. Infatti un qualcosa di inatteso è accaduto …”.  Ed ancora: “La luce del Re-Messia, che porta la vita divina al mondo, è soffusa di uno splendore legato alla bellezza dell’alba e alla meraviglia della rugiada, che nel chiarore del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi”.
Dall’alba, poi, alla sera di quello stesso giorno, “il primo dopo il sabato”, che fa ad essa da “contrappunto”, con la storia dei discepoli di Emmaus, i quali camminano prima nella tristezza e poi nella gioia, dopo aver riconosciuto il Risorto allo spezzare del pane.
“Il giorno di Pasqua – ha concluso Mons. Gualtiero – ha il profumo del pane spezzato, ‘vero corpo arso d’amore’, e l’aroma del vino versato, ‘il preziosissimo sangue di Gesù’, ‘mite Agnello immolato’. Fratelli e sorelle carissimi, il legno della croce ha piagato il Signore, ma ha piegato la morte come ferro battuto!”.

Il testo integrale dell’omelia

 “La morte è stata inghiottita nella vittoria” (1Cor 15,54): questo grido di fede raccoglie l’annuncio profetico della gioia pasquale; un’interpretazione più letterale del testo paolino dovrebbe suonare così: “Dio spoglierà la morte del suo potere”. Fratelli e sorelle carissimi, la colpa ha reso nudo Adamo e la morte, “salario del peccato”, l’ha spogliato della vita. Ma Dio, risuscitando Gesù, ha spogliato la morte del suo potere, lasciandola completamente nuda.

Un’icona orientale dell’Anàstasis mostra Gesù risorto che esce dal “pozzo” della storia, tenendo saldamente per mano Adamo ed Eva e, appesi a loro, quanti hanno atteso “la vita del mondo che verrà”. La liturgia bizantina, al mattino del Sabato santo, canta: “Sei disceso sulla terra per salvare Adamo e, non avendolo trovato sulla terra, o Signore, sei andato a cercarlo fino agli inferi”. Questo tema iconografico orientale è accennato da Pietro Vannucci nella Risurrezione di san Francesco al Prato in Perugia, un dipinto a olio su tavola, databile 1499-1500, conservato nella Biblioteca privata del Papa presso il Palazzo Apostolico Vaticano. In occasione della recente Visita ad limina sono rimasto a lungo di fronte a tale capolavoro e così ho potuto osservarne i particolari, che hanno richiamato alla mia mente un’omelia siriaca anonima, risalente al V-VI secolo: “Oggi il Sole di giustizia si è manifestato non dal cielo, ma dagli inferi. Infatti un qualcosa di inatteso è accaduto: gli inferi sono diventati immagine dell’Oriente e il Sole di giustizia si è levato di là”.

Raffigurando il Redentore benedicente, con la bandiera crociata, racchiuso in una “mandorla” che sorge dal grembo dell’aurora, il Perugino traduce con il pennello un versetto del Salterio che la tradizione giudaica, secondo la versione greca dei LXX, interpreta in senso messianico: “Dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato” (Sal 110,3). La luce del Re-Messia, che porta la vita divina al mondo, è soffusa di uno splendore legato alla bellezza dell’alba e alla meraviglia della rugiada, che nel chiarore del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi. La “luce gentile” dei colori, che inondano la tavola della Risurrezione di san Francesco al Prato, riflette la giovinezza del Cristo risorto il quale, scortato dalla “delicata fierezza” di due angeli, scruta le guardie che riposano tranquille e serene; solo una di esse è sveglia, posta a custodia del sepolcro, un sarcofago con il coperchio spostato e scorciato efficacemente in prospettiva.

All’alba del mattino di Pasqua fa da “contrappunto” la sera di quello stesso giorno, “il primo dopo il sabato”; l’ora del tramonto registra il passo lento di due discepoli, sconvolti e rassegnati, in cammino verso Emmaus (cf. Lc 24,13-35). Gesù si avvicina in incognito, prende il loro passo, senza imporre il suo, e cominciando da Mosè e dai profeti spiega le Scritture. Giunto a Emmaus, mostra di voler “andare più lontano”; essi lo invitano a fermarsi e i loro occhi si aprono alla “frazione del pane”, ma Egli si sottrae al loro sguardo. “Il Signore non è stato riconosciuto quando parlava, ma si è fatto riconoscere quando è stato invitato a tavola. Fratelli miei cari – commenta san Gregorio Magno – amate dunque l’ospitalità, amate le opere ispirate dall’amore”.

Sebbene sia ormai sera, i discepoli di Emmaus avvertono il bisogno di riferire agli Undici l’accaduto e così compiono “senza indugio” un’inversione di marcia. “L’episodio – osserva Papa Francesco – è una storia che inizia e finisce in cammino. C’è infatti il viaggio di andata dei discepoli che, tristi per l’epilogo della vicenda di Gesù, lasciano Gerusalemme e tornano a casa, a Emmaus, camminando per circa undici chilometri. È un viaggio che avviene di giorno, con buona parte del tragitto in discesa. E c’è il viaggio di ritorno: altri undici chilometri, ma fatti al calare della notte, con parte del cammino in salita dopo la fatica del percorso di andata. Due viaggi: uno agevole di giorno e l’altro faticoso di notte. Eppure il primo avviene nella tristezza, il secondo nella gioia. Nel primo c’è il Signore che cammina al loro fianco, ma non lo riconoscono; nel secondo non lo vedono più, ma lo sentono vicino (…). Corrono a portare la bella notizia dell’incontro con Gesù Risorto”.

Sulla tavola di Emmaus il pane e il vino più che un’apparizione del Risorto sono il segno nuovo ed efficace della sua “presenza viva, reale”. Il giorno di Pasqua ha il profumo del pane spezzato, “vero corpo arso d’amore”, e l’aroma del vino versato, “il preziosissimo sangue di Gesù”, “mite Agnello immolato”. Fratelli e sorelle carissimi, il legno della croce ha piagato il Signore, ma ha piegato la morte come ferro battuto!

+ Gualtiero Sigismondi