Il 12 dicembre, terza domenica di Avvento, è stato un giorno di particolare grazia per la diocesi di Orvieto-Todi per il dono della professione religiosa solenne di un suo figlio, Antonio Ricci, originario di Monterubiaglio, nell’Ordine dei ministri degli infermi (Camilliani).
Grazie alla disponibilità di padre Antonio Marzano, superiore della Provincia romana, la celebrazione si è svolta nella cattedrale di Orvieto ed è stata presieduta dal vescovo Gualtiero Sigismondi.
Davvero toccante, in tutte le sue parti, il rito che ha visto Antonio – circondato dai familiari e da tanti amici – emettere i voti di castità, obbedienza, povertà e assistenza agli ammalati anche con pericolo della vita nelle mani del Superiore provinciale; un nuovo inizio, ma anche ‘epilogo’ di una vita sempre spesa per i più bisognosi, incontrati nel lavoro e nell’infaticabile operato nel mondo del volontariato (Caritas diocesana, Croce rossa, Avis, carcere di Orvieto, Unitalsi…).
Altrettanto profonda e significativa l’omelia nella quale mons. Gualtiero si è soffermato soprattutto sul verbo ‘esultare’ – che ha attraversato tutte le letture della domenica Gaudete -, coniugandolo per ciascuno ed in modo particolare per il candidato. E così ha ben chiarito chi sa esultare, con numerosi riferimenti alla Parola proclamata. Sa esultare chi sa attendere, “senza inquinare l’attesa – ha sottolineato – con alcuna pretesa, sempre aperto alle sorprese di Dio, il quale ci rinnova continuamente con il suo amore”; chi sa alzare gli occhi al cielo, riconoscendo che “anche nel buio
l’orizzonte non è mai chiuso”; chi in ogni circostanza presenta a Dio le proprie richieste con serena fiducia, mediante “preghiere, suppliche e ringraziamenti”, come ci insegna l’apostolo Paolo; chi sa ringraziare, “perché soltanto chi è capace di gratitudine conosce lo spartito dell’esultanza”.
Ed ancora, sa esultare chi è veramente libero, chi ha un cuore umile e semplice, chi ricerca l’essenziale, riuscendo così a stupirsi delle piccole cose, del “frammento”, chi ha il cuore e la mente custoditi dalla pace di Dio, chi, come Giovanni Battista, impara a diminuire per far spazio al Signore, chi è consapevole che lo Spirito santo, “sorgente inesauribile di gioia, è sopra di noi e ci manda a portare ai poveri il lieto annuncio”. Sa esultare, poi, chi è fedele fino alla fine, “chi non riduce il suo ‘sì’ a una semplice coincidenza di interessi egoistici”, un ‘si’ che è a tempo indeterminato e il cui “unico commento resta sempre il Magnificat, anche nei momenti più delicati e difficili che ogni vocazione incontra”. ‘Siate lieti, la vostra amabilità sia nota a tutti’, raccomanda san Paolo.
“Carissimo Antonio – ha detto il Vescovo – l’amabilità è una caratteristica che ti ritrae”, concludendo poi con l’auspicio che questa professione religiosa solenne sia per la Chiesa di Orvieto-Todi una primizia del mandorlo in fiore, che già in inverno comincia a fiorire facendo sentire il profumo della primavera.
Ad Antonio diciamo grazie e assicuriamo la preghiera della comunità diocesana, perché, come ieri ed oggi, sia sempre, ed ancor più, esultante ed amabile nel prosieguo del cammino.
Articolo a cura di Michela Massaro pubblicato nel settimanale regionale “La Voce” del 17 dicembre 2021