Messa crismale 2023 – Omelia

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Nella Messa crismale, che la liturgia colloca sul “sagrato” del Triduo pasquale, facciamo memoria del dono del ministero ordinato, posto a servizio del sacerdozio regale dei fedeli, che lo precede, e unito indissolubilmente all’Eucaristia. Questa celebrazione manifesta che “il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo” (Lumen Gentium, 10), “il Sommo sacerdote che ci occorreva” (Eb 7,26), a cui il Padre “ha dato in mano ogni cosa” (Gv 3,35).

Nessuno può essere strappato dalle mani “sante e venerabili” di Gesù, “Pastore dei pastori” (cf. Gv 10,28-29). Egli, imponendole sul capo, benedice i bambini (cf. Mt 19,13-15; Mc 10,13-16) e guarisce “ogni sorta di malattie e d’infermità” (cf. Mt 8,15; Mc 1,31; 1,41; 5,23.41; 8,23.25). Toccando la bara di un ragazzo, lo restituisce a sua madre (cf. Lc 7,14). Tendendo la mano a Pietro sulle acque, lo afferra e lo salva (cf. Mt 14,31). Nell’ultima Cena, “sapendo che il Padre gli ha dato tutto nelle mani” (Gv 13,3), consegna il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino (cf. Mc 14,22-23). Prima di salire al cielo benedice i discepoli alzando le mani (cf. Lc 24,50-51), che portano impressi i segni della passione con i quali vive immortale (cf. Lc 24,39; Gv 20,20.27).

Le mani “eucaristiche” di Cristo sono così diverse dalle nostre, “uomini soggetti a debolezza” (cf. Eb 7,28). E, tuttavia, anch’esse hanno un’intelligenza sensoriale, la quale è come “la scintilla del pensiero e della conoscenza”. Papa Francesco osserva, al riguardo, che “la lingua italiana, come altre lingue neo-latine, sottolinea lo stesso concetto, facendo del verbo prendere, che indica un’azione tipicamente manuale, la radice di comprendere, apprendere e sorprendere, che indicano invece atti del pensiero. Mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e si lascia sorprendere. E tuttavia, perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere altre mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al cielo in preghiera”.

Le mani, abili o insicure, affusolate o callose che siano, hanno il loro linguaggio, che ha come alfabeto l’ineffabile liturgia del silenzio. I gesti delle mani, associati alle espressioni del viso, sono più eloquenti dei termini di un vocabolario. Quanti messaggi riescono a trasmettere! E le mani di un prete, le nostre palme, unte dal vescovo con il crisma “per la santificazione del popolo di Dio e per l’offerta del sacrificio eucaristico”, parlano la lingua dei santi segni?  Sembrano inadatte per compiti così grandi, ma Dio “ci ha chiamato, senza alcun merito, nel numero dei suoi ministri”.

Sono mani alzate, benedicenti, stese, giunte, aperte, oppure sono vuote, inerti, legate? Sono mani alzate quando, come quelle di Mosè (cf. Es 17,8-16), non si sottraggono al compito dell’intercessione, pur avvertendo il peso della fatica. Sono mani benedicenti se fanno grondare il crisma su tutto ciò che lo sguardo accarezza. Sono mani stese sulle offerte del pane e del vino quando invocano la pienezza dello Spirito santo perché la Chiesa diventi, “in Cristo, un solo corpo e un solo spirito”. Sono mani giunte se ancorate a quelle di Dio che, “con il cavo, misura le acque del mare e, con il palmo, calcola l’estensione dei cieli” (cf. Is 40,12). Sono mani aperte quando sanno porgersi senza indugio a chiunque le tenda, usando la lingua dei segni delle opere di misericordia. Al contrario, le nostre mani consacrate sono vuote non quando a sera, “tirate le barche a terra”, le “reti” non hanno preso nulla, ma se all’alba non ci si è spinti al largo con i “remi” della meditazione e la “vela” dell’adorazione. Sono mani inerti quando, incollate alla tastiera, hanno concesso spazio alle connessioni e sottratto tempo alle relazioni. Sono mani legate se, strette dalla pretesa di “farsi servire” (cf. Mc 10,45) o di raccontare alla sinistra quanto ha compiuto la destra (cf. Mt 6,3), non sono libere di lasciare alle impronte digitali l’obbligo di dichiarare: “Siamo servi inutili” (cf. Lc 17,10).

“Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente” (Gv 20,27). Queste parole, rivolte a Tommaso dal Risorto, lasciano al metodo di lettura e di scrittura per ciechi e ipovedenti, il codice Braille, la missione di annunciare la pienezza della gioia pasquale: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28). La testimonianza di Tommaso interpella non solo noi, ministri ordinati, chiamati a essere “servi premurosi del popolo di Dio”, ma anche voi, fedeli laici, impegnati a mettere le mani nella “pasta del mondo” e non nei cassetti delle sacrestie. Come nelle mani di un prete l’odore dei grani d’incenso non può coprire l’aroma del crisma, così il cavo delle mani di tutti i battezzati deve “sapere di sale”, quello grosso del Vangelo, per spandere nel mondo “il profumo di una vita santa”.

Le mani, con la lingua dei segni, esprimono “ciò che dal cuore sovrabbonda” (cf. Mt 12,34): mani innocenti sono lo specchio di un cuore puro (cf. Sal 24,4). Fratelli e sorelle carissimi, siamo ormai allenati a sfregare le mani, complice la pandemia che ci ha abituato a cospargerle di amuchina, facendo dimenticare a noi, ministri ordinati, il significato del lavabo e a voi, fedeli laici, il rito della pace con il quale, dopo aver chiesto al Signore di “concedere la pace ai nostri giorni”, lo si implora per la comunità ecclesiale dicendo: “Donale unità e pace secondo la tua volontà”. Unità e pace sono olio misto a profumo che formano il “crisma” della concordia, di cui tutti noi, pastori e fedeli, ampolle dello Spirito in vasi di creta, non possiamo rinunciare a essere pieni fino all’orlo.

La Vergine Maria, con le sue mani impregnate di stupore a Betlemme e grondanti di mirra al sepolcro di Gesù, indica, mostra e consegna il Figlio suo; da Lui ci ottenga l’olio di esultanza della letizia e il nardo, assai prezioso, del fervore dello spirito.

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto – Basilica Cattedrale
05-04-2023