L’omelia del Vescovo Gualtiero per le esequie del Generale dell’Esercito Nicolò Falsaperna

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C’è una soglia, quella del lutto, che prima o poi attraversiamo tutti. A volte ci si arriva all’improvviso, a volte ci si cammina accanto per anni, dopo una lunga malattia che, se sopportata con fede, “dà compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella nostra carne” (cf. Col 1,24). L’elaborazione del lutto chiede il suo spazio, quello del respiro della fede. Solo così è possibile affrontare la grave perdita del Generale dell’Esercito Nicolò Falsaperna, Direttore Nazionale degli armamenti, che ha dato lustro all’Italia e alla Difesa, divenendone Segretario Generale.

Le letture proclamate, quelle del Giorno del Signore appena iniziato, ci conducono nella Casa di Betania, frequentata da Gesù non per posare il capo ma per riprendere fiato, assieme ai suoi amici, Lazzaro, Marta e Maria. Marta accoglie il Signore con gioia e si mette subito a servirlo, senza porgere l’orecchio alla sua Parola, la “parte migliore”, scelta da Maria sua sorella. Gesù non esita a richiamare Marta, con mite fortezza, ricordandole che il passaggio immediato dall’accoglienza al servizio, senza la mediazione dell’ascolto, genera preoccupazione e agitazione.

Accogliere, ascoltare, servire: questa è la “regola di vita” dei discepoli, che ha il suo baricentro nell’ascolto della Parola di Dio. Accogliere, ascoltare, servire: questa è la “divisa” di un vero servitore dello Stato, il titolo onorifico più alto raggiunto dal Generale Nicolò Falsaperna, che ha ricoperto ruoli delicati e strategici “sapendo unire – come scrive il Ministro della difesa, Guido Crosetto – la sua profonda umanità ad una straordinaria professionalità e altissimo senso delle istituzioni”. Al termine del suo servizio attivo ha lasciato un’inestimabile eredità di esempio e di valori, facendosi da parte senza mettersi in disparte. Solitamente, ci si mette in disparte senza farsi da parte: così non è stato per lui, che ha saputo congedarsi insegnando anche ad imparare a congedarsi. Quanto questo sia vero me lo ha testimoniato la sua discrezione: non è mai venuto da me per presentare il biglietto da visita del suo curriculum vitae, con la pretesa di ricevere qualche medaglia al valore ecclesiale.

La discrezione è l’eredità più grande che egli lascia a tutti noi, in particolare ai suoi familiari, alla moglie Felicita, ai figli Elia e Gaia, al fratello Giorgio, cui vanno le più sentite condoglianze. La discrezione è sobrietà nelle parole e sapiente misura nel linguaggio dei gesti. La discrezione è nobiltà d’animo, eleganza interiore, che sa fermarsi sulla soglia della libertà altrui. La discrezione è il “balsamo” della confidenza: è capacità di avvicinarsi senza invasioni di campo; è disponibilità a congedarsi senza voltarsi indietro.

Fratelli e sorelle carissimi, noi ci “presentiamo sull’attenti” davanti a questa bara, elevando la nostra preghiera di suffragio. La morte non è un “congedo illimitato”, ma un “arruolamento” nella schiera dei santi. Il Signore conceda al Generale Nicolò di “passare alla condizione di riposo”: trovi spalancata la “porta santa” del cielo, “centro di selezione e reclutamento del Paradiso”.

+ Gualtiero Sigismondi