(Letture Mt 11,2-11; Is 35,1-6a.8-10; Gc 5,7-10)
“L’infinitamente piccolo custodisce la grandezza di Dio, come nel frammento eucaristico adoriamo il tutto della divinità del Signore”
La liturgia ci spiega il senso dell’attesa gioiosa
Con la terza domenica di Avvento, lo sguardo della liturgia si rivolge al Natale ormai prossimo, come ci ricorda la preghiera dopo la comunione, che invita la “forza divina della misericordia a purificare il nostro cuore, per prepararci alle feste ormai vicine”. È la domenica chiamata Gaudete, in italiano della gioia, richiamata dall’antifona d’ingresso della celebrazione “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: Rallegratevi. Il Signore è vicino!” (cf. Fil 4,4-5). Nella Colletta iniziale è detto il motivo di tanta gioia: l’attesa con fede del Natale del Signore. E mentre la liturgia ci invita a gustare la celebrazione delle memoria della prima venuta di Gesù nella carne, non si stanca mai di ricordarci che sempre noi celebriamo nell’attesa del suo ritorno nella Gloria: il vero motivo della nostra gioia. Ma come si attende?
Giovanni Battista l’uomo dell’Avvento
Il Tempo di Avvento non ce lo dice solo a parole, ma ci presenta figure che incarnano l’attesa, una di queste è Giovanni Battista che ci accompagna per ben due domeniche. La prima come profeta, o meglio l’ultimo dei profeti, questa domenica come è il testimone. Ed è proprio Gesù che ne dà testimonianza: “In verità vi dico fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista” (Mt 11,11). Quale è la grandezza di Giovanni Battista? Il suo essere vestito con pelli di peli di cammello? E mangiare cavallette e miele selvatico? (cf. Mt 3,4). Questa è la descrizione che ne fa il Vangelo di domenica scorsa. Gesù, in questa domenica, ne tratteggia la figura per contrapposizione di significati, con interrogativi retorici: è una canna sbattuta dal vento? In realtà è una quercia che non si china davanti al potere che potrebbe ucciderlo, la sua forza è quella di non piegarsi al vento delle convenienze. Il suo potere di trascinare le folle non è ostentato dagli abiti di lusso né dalle sedi principesche (cf Mt 11,7-8). Il suo potere è: poter fare la volontà di Dio. Egli si percepisce come precursore e annunciatore del Messia, ma in una forma particolare; infatti egli vedrà, diversamente dai profeti dell’antico testamento, il Messia in carne ed ossa e lo indicherà al mondo: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29), ne ascolterà le prime parole, per bocca d’altri conoscerà le sue prime opere.
Essere l’ultimo dei profeti pone degli interrogativi alla sua vita
È questa sua condizione che lo metterà in crisi. Sarà costretto a chiedersi: “Ma il Messia che ho annunciato, che ho riconosciuto, corrisponde alla parola che ho pronunciato su di lui?” Il suo è un dubbio lacerante. In carcere, vicino alla morte, esplode un interrogativo: Ma chi è veramente costui? “Sei colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11,3). L’eco della predicazione e le notizie sull’azione di Gesù sembrano non corrispondere a quanto lui aveva gridato. Per questo chiede ai suoi discepoli di intraprendere il lungo viaggio verso la Galilea. La risposta di Gesù sulla propria identità sarà anche una conferma o una smentita sulla vera identità di Giovanni Battista, che si chiede: “Chi sono io? Per chi ho messo in gioco la mia vita?”. Al tramonto della vita, Giovanni ha necessità di risolvere il dubbio che turba il suo cuore. Gesù non risponde alla domanda diretta, ma fa parlare le profezie con i fatti: “I ciechi riacquistano la vista, i zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11,4-5). Gesù risponde con le profezie che Giovanni stesso conosceva. Al tramonto della vita ha avuto la certezza che: “Colui che doveva venire” è veramente “colui che ha annunciato”.
Non è solo il precursore
Giovanni non è solo il precursore, ora può anche definirsi “L’amico dello sposo che esulta di gioia alla voce dello sposo”. Ora anche la sua gioia è piena. Ora è pronto ad essere il precursore di Gesù, anche nella morte, e quindi testimone credibile della parola annunciata. A questo si riferiscono le parole: “Lui deve crescere; io invece diminuire” (Gv 3,29-30), così dirà di sé in relazione a Gesù. Giovanni e Gesù: il primo ha aperto la strada nel deserto, preludio alla via santa aperta da Gesù con la sua prima venuta (cf Is 35,8), come ci ricorda la prima lettura. Dio si è incamminato su questa via percorrendo i sentieri tortuosi degli uomini. Su quella via santa, ora, cammina l’umanità in compagnia del Risorto, per andare incontro al Signore che viene con la sua seconda venuta.
Colui che attendiamo plasma la nostra attesa
È l’apostolo Giacomo a ricordarci, nella seconda lettura, quale via è ormai aperta ai nostri occhi e la virtù della costanza nella fedeltà, quale stile di vita da tenere fino alla venuta del Signore (Gc 5,7). Egli afferma che il giudice è alle porte (v. 9). Una esortazione che ci racconta l’imminenza del Natale, ma anche la via tracciata per il ritorno del Signore; il bambino Gesù che attendiamo di celebrare e il Signore della Gloria sono appellati con il nome anche di giudice. Per entrambi Isaia supporta la loro caratteristica di giudici con altri appellativi: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace (Is 9,5), è la visione profetica del Natale che descrive la venuta di un bambino che ascolteremo nella liturgia natalizia. La liturgia del Natale è la meraviglia per un Dio che si fa piccolo, al quale ognuno è chiamato a fare spazio, a decentrarsi, a diventare piccolo; è quello che ha fatto Giovanni Battista: profeta, precursore, testimone.
A cura di don Andrea Rossi