VANGELO
Luca 6,39-45
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male (…)».
COMMENTO
Nelle Letture di questa domenica un appello rivolto anche ai Pastori di oggi: esercitare la responsabilità della guida, difendere i fedeli e allontanare i “lupi rapaci”
Il “discorso della pianura” (Lc 6,1-49), che inizia con le beatitudini, va verso la conclusione con una serie di detti sapienziali, contenuti nel Vangelo di questa domenica.
Il testo della prima lettura (Sir 27,4-7) arricchisce l’insegnamento sapienziale che prende in esame principalmente la parola e lo sguardo. L’interrogativo con cui Gesù introduce una parabola, sembra rivolto ad un uditorio diverso: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Lc 6,39).
Il discorso era iniziato davanti ai Dodici, ad una folla di discepoli ed ad una moltitudine di gente (cfr Lc 6,17).
Non vengono citati al seguito di Gesù, i suoi oppositori: scribi, farisei, dottori della legge, inviati, in genere dalle “caste religiose” del tempio di Gerusalemme, a controllare questo “strano” rabbi che predica “con autorità”. In realtà la loro presenza è citata all’inizio del capitolo, nella controversia sul sabato (Lc 6,1-11) e quando rimproverano Gesù di mangiare con pubblicani e peccatori (Lc 5,29-35).
L’avvertimento sul tema dell’autorità, sembra far risuonare l’ammonimento dei “guai” che Gesù cita dopo le beatitudini di due domeniche fa (Lc 6,24-25). Il tema della cecità, proposto precedentemente, è ripreso pochi versetti dopo: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Lc 6,41).
L’evangelista Matteo, in un contesto diverso, esplicita con il termine “guai” degli ammonimenti ben più pesanti: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” (cfr Mt 23,23-24).
Il modello di ogni guida è il Maestro, che esercita con autorevolezza il suo magistero. Gesù si pone come modello raggiungibile: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il maestro” (Lc 6,40). La preparazione non è un’assimilazione di nozioni trasmesse, ma una relazione con il Maestro, una condivisione della vita che plasma il discepolo che guarda, ascolta, fa esperienza e ne assume le caratteristiche.
Gesù nel Vangelo di questa domenica esplicita, attraverso il paradosso della pagliuzza e della trave, una modalità arrogante e superba di esercitare l’autorità, aliena da ogni approccio umile, imprescindibile virtù dell’esercizio della guida e del governo.
Quando essa è prezioso patrimonio di colui che è chiamato a guidare, rende visibile l’insegnamento proposto, con la testimonianza della vita. I discepoli allora riconoscono al maestro l’autorevolezza che rende facile l’obbedire, anche nelle scelte impegnative per la loro vita.
I testi di questa domenica non rivelano solo un ammonimento alle “guide ipocrite” del tempo: scribi, farisei, dottori della legge, ma anche ai “dodici” che lui a scelto e che stanno compiendo un vero apprendistato alla scuola del Maestro. Ad essi aprirà lo scrigno del suo cuore, con le parole toccanti dei discorsi di addio nei capitoli 13-16 del Vangelo di Giovanni, per poi parlare di loro al Padre nella “preghiera sacerdotale” al capitolo 17.
I testi di questa domenica rivelano però, agli uditori del tempo, anche dei criteri per difendersi dai falsi maestri e dalla guide cieche. La verifica è un processo che richiede tempo e la prudenza è la virtù che guida la scelta di affidare la vita ad un maestro, o scegliere di fare propri gli insegnamenti ricevuti. Il Vangelo indica la verifica dei frutti per riconoscere la bontà dell’albero e le azioni come veridicità delle parole: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene, l’uomo cattivo il male” e indica nella parole la sovrabbondanza del cuore (cfr. Lc 6,45). Modello da applicare per il discernimento sulla bontà dei maestri.
La prima lettura allarga lo spazio del discernimento sui “maestri” o presunti tali, indicando l’osservazione del dialogo come prova, perché da esso emergono i difetti (cfr. Sir 27,4). I monologhi affabulano, il contradditorio invece è rivelativo della motivazioni delle idee. Infatti prosegue il Siracide: “Il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo” (v. 5) e “la parola rivela i pensieri del cuore” (v. 6).
Ma l’appello della scrittura è rivolta anche ai pastori di oggi, che ad ogni livello sono chiamati ad esercitare la responsabilità della guida. Ad essi, il Signore ha affidato il compito di pascere il gregge secondo il suo cuore, (cfr Ger 3,15), di esercitare l’autorità a difesa del gregge “da lupi rapaci” e da mercenari affabulatori di comunità e spesso a difesa di giovani alla ricerca di senso.
Perché si fa fatica ad applicare l’opportuno discernimento ecclesiale (garanzia della scoperta delle vere intenzioni mascherate da buoni propositi) lasciando costoro imperversare nel gregge e seminare zizzania, distruggendo persone che la semplicità e l’imprudenza ha condotto a “mendicare” un po’ di bene?
Perché?
A cura di don Andrea Rossi
Tratto da La Voce del 25/02/2022