VANGELO
Luca 6,17.20-26
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.
Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
<<Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno
e quando vi metteranno al bando
e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame,
a causa del Figlio dell’uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate,
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.
(…) Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti>>.
COMMENTO
La “Parola” di Gesù accoglie, consola e sorregge, ma segna anche una linea di demarcazione tra il bene e il male. Il brano delle beatitudini ce lo ricorda
La proclamazione del “rotolo del profeta Isaia” (cfr Lc 4,18-19) da parte di Gesù a Nazaret, inaugura il tempo nuovo “un anno di grazia del Signore” (Lc 4,19),
un giubileo senza fine. Le porte della misericordia spalancate dalle braccia di Cristo sulla croce, lasciano sempre aperta la speranza dell’umanità. Ma la libertà dell’uomo può sempre chiudere a sé stesso l’accesso alla beatitudine celeste e alla beatitudine della vita. La folla intorno a Gesù, descritta nel Vangelo di questa domenica: “C’era molta folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente” (Lc 6,17), esprimono la sete dell’umanità di parole di speranza, di parole di verità. Non solo i discepoli, ormai numerosi ascoltano le sue parole, ma anche “Gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone” (v. 17). I miracoli di Gesù hanno ormai acceso attese e speranze, ma le sue parole, propongono anche una radicalità della vita che chiede un’affidarsi, ma “costretta” a confrontarsi con la concretezza delle scelte. La sua “Parola” oltre che accogliere, consolare, sorreggere, segna una linea di demarcazione tra il bene e il male: accusa, giudica, divide. Ce lo ha ricordato il testo profetico del vecchio Simeone: “Ecco egli è qui per la caduta e la resurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione” (Lc 2,34).
Da Nazareth, al “discorso della pianura”, versione lucana delle beatitudini, Gesù fa emergere le contraddizioni dei suoi molti discepoli e interrogare la gente al di fuori dei confini d’Israele.
I testi di questa domenica tracciano una via di demarcazione tra il bene il male, concetti non astratti, perché il bene fa bene e il male fa male. La porta d’ingresso nel salterio, il Salmo 1, dalla Bibbia Scrutate le scritture (Ed. San Paolo, 2020) è titolato “Le vie del bene e del male”. L’uomo, nella sua “tremenda libertà” sceglie la sua strada ed il salmo avverte l’uomo delle conseguenze con una immagine tratta dal mondo vegetale: in compagnia della legge del Signore, l’uomo “è come albero piantato lungo corsi d’acqua”, porta frutto a suo tempo e le sue foglie non appassiscono mai (cfr Sal 1,2-3); mentre i malvagi sono “come pula che il vento disperde” (cfr v. 4). L’uomo senza Dio, non è solo alieno dalla fede, ma rimane solo, si aliena anche dall’umanità, la sua e dalla compagnia di chi gli sta accanto.
È emblematico il testo di Genesi, che in modo sapienziale descrive l’uomo che diventa nemico della sua compagna (Gen 1,12), Caino nemico del fratello (Gen 4,8). Il peccato ferisce prima di tutto l’uomo in se stesso, chiudendolo in un assoluto solipsismo, ferisce quell’immagine di Dio in lui impressa, ferisce la comunione con i fratelli, con l’armonia dello stesso creato. Per questo l’uomo sia maledetto? No, il naufragio dell’uomo non è causato dalla maledizione, ma la maledizione è il nome del peccato.
È la condizione dell’uomo che si lascia nutrire dal male e deturpa il volto dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. Il suo “Dna”, pensato per generare germogli di felicità, può essere infestato dal “virus” del male e se non più combattuto dal “vaccino della grazia”, inverte la sua capacità di produrre bene in una “macchina del fango”, che sparge il male finendo per autodistruggersi. Il racconto delle beatitudini, nella versione lucana, propongono le due vie, esplicitando le conseguenze: Beati voi, ma guai a voi. La condizione di beati, racconta l’uomo, che è rimasto integro rispetto alla malvagità del contesto in cui vive, perché è rimasto permeabile alla grazia, fidandosi di Colui che ha detto: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (Lc 21,12.18). I cosiddetti “guai”, sono rivolti a quanti si sono pervertiti e sono pervertitori, ossia il loro “Dna” è diventato una cellula tumorale, che produce altre cellule malate, infettando tutto l’organismo.
Per essi c’è un ultimo appello, mostrando il rischio che stanno correndo. Essi hanno armato la mano dei persecutori, hanno inferto dolore a innocenti per il proprio tornaconto, hanno illuso quanti in buona fede si sono affidati ad essi.
Si può essere più malvagi di chi si macchia di sangue, quando si metta al servizio del male la mente e il cuore senza sporcarsi le mani. Chi vede il sangue da lui causato, ha forse un ultimo sussulto di umanità di fronte alla morte del fratello. Ma chi rimane nascosto rispetto alla “scena del crimine”, dopo averne creato le
condizioni, coincide con il male che ha progettato. Allora sì, è maledetto, perché si è precluso la possibilità di redimersi.
Dio condanna il peccato, ma è misericordioso con il peccatore, ma al peccato va dato il suo nome per non lasciarsi infangare dal nome del peccato e diventare tutt’uno con esso.
A cura di don Andrea Rossi
Tratto da La Voce del l’11/02/2022