Solennità del Corpus Domini: l’omelia del Vescovo Gualtiero e le foto della Solenne Messa e della Processione (giovedì 16 giugno 2022)

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Nella vigilia della sua passione, “sofferta per la salvezza nostra e del mondo intero”, il Signore Gesù, celebrando l’ultima Cena, ha affidato alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, memoriale della sua morte e risurrezione, convito nuziale del suo amore, “perché lo celebrasse perennemente fino alla sua venuta”. “Esultanti per la gioia pasquale – così recita l’orazione sulle offerte della Messa del giorno di Pasqua –, ti offriamo, Signore, questo sacrificio nel quale mirabilmente nasce e si nutre la tua Chiesa”. La Chiesa nasce dall’Eucaristia e da essa viene nutrita: è con questa consapevolezza che l’inno dei vespri del Giovedì della Cena del Signore ci fa dire: “O pane vivo, memoriale della passione del Signore, fa’ ch’io gusti quanto è soave di te vivere, in te sperare. Nell’onda pura del tuo sangue immergimi, o Redentore: una goccia sola è un battesimo che rinnova il mondo intero”.

Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione, della quale vuole essere “un atto di doveroso ripensamento”. Anche il Giovedì Santo conosce una sua processione eucaristica, con cui la Chiesa ripercorre l’esodo di Gesù dal Cenacolo al monte degli Ulivi. Nella processione del Giovedì Santo, la Chiesa accompagna Gesù nella solitudine di quella notte in cui si consegna nelle mani del traditore. Nella festa del Corpus Domini, riprendiamo questa processione, ma nella gioia della Risurrezione. La processione del Corpus Domini risponde in modo simbolico al mandato del Risorto, che precede i suoi in Galilea (cf. Mt 28,7). Nella processione del Corpus Domini, seguiamo il Risorto, nel suo cammino verso i confini del mondo, attraversando le strade della nostra città. Con questo gesto mettiamo sotto i suoi occhi tutta la nostra vita: le sofferenze degli ammalati, le inquietudini dei giovani, la solitudine degli anziani. La processione vuole essere una grande e pubblica benedizione per questa nostra città, che intreccia le sue secolari vicende con quello che San Paolo VI chiama “il messaggio di Orvieto”.

“Gesù – diceva Papa Montini – è un tabernacolo in moto: è l’Uomo che porta dentro di Sé l’ampiezza del Cielo; è il Figlio di Dio fatto Uomo; è il miracolo che passa sui sentieri della nostra terra”. Nel discorso tenuto in occasione della sua visita a Orvieto, l’11 agosto 1964, Paolo VI si chiedeva: “Il mistero eucaristico come ci trova davanti a sé? come ci definisce? fedeli, entusiasti e rapiti dalla adesione franca e totale al mysterium fidei? incerti e dubbiosi, come il Sacerdote forestiero di Bolsena? pensosi e critici, desiderosi di risolvere in termini prosaici (…) l’astrusa parola di Cristo: ‘La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda’ (Gv 6,55)? ovvero indifferenti e refrattari a questo supremo e difficile discorso, facili disertori dal convito del Regno di Dio, a cui tutti siamo invitati? La questione – concludeva Papa Montini – è estremamente grave, perché coinvolge il problema religioso nel suo epilogo risolutivo; l’accettazione cioè o il rifiuto di Cristo: ‘Volete andarvene anche voi?’ (Gv 6,67)”.

Fratelli e sorelle carissimi, come ci definisce l’Eucaristia? Siamo fedeli, entusiasti o, al contrario, incerti e dubbiosi, indifferenti e refrattari se non, addirittura, disertori? La risposta a questo interrogativo non è scontata, tanto per chi sale all’altare a compiere il servizio sacerdotale, quanto per chi si raccoglie attorno alla mensa della Parola e del Pane di vita. Nella diagnosi compiuta da San Paolo VI mi colpisce l’affondo: “Siamo refrattari o facili disertori?”. Siamo refrattari quando l’Eucaristia domenicale non è sentita “come vera Pasqua della settimana”, come memoria di quel “primo giorno dopo il sabato” in cui Cristo Risorto ha portato agli Apostoli il dono della pace e dello Spirito (cf. Gv 20,19-23). Siamo disertori quando la partecipazione all’Eucaristia, “cuore della Domenica”, è vissuta come un precetto da assolvere, anziché “come un impegno irrinunciabile, come un bisogno consapevole e credente”.

Il Signore ci ha lasciato il testamento del suo amore nell’umile gesto della lavanda dei piedi e nel dono supremo dell’Eucaristia. La “frazione del Pane” ci consegna il Corpo e il Sangue di Gesù, la lavanda dei piedi ci insegna come riceverli. “Ubi caritas est vera, Deus ibi est”: questa è l’antifona del canto che, nella Messa “in Coena Domini”, precede l’inno “Pange, lingua”. Dio è presente dove opera la “fantasia della carità”, alimentata dallo “stupore eucaristico”; l’una e l’altro costituiscono, per così dire, la sistole e la diastole di un cuore sincero, disposto a uscire dalla quiete della contemplazione solo per essere instancabile testimone di comunione.

+ Gualtiero Sigismondi