Festa della Dedicazione della Cattedrale – Omelia

Nella festa della dedicazione della nostra Cattedrale di Santa Maria Assunta la liturgia della Parola di questa Domenica ci invita ad attendere il giorno del Signore senza ansia e senza ignavia, ma come “figli della luce” (cf. 1Ts 5,1-6), simili sia alla “donna forte” di cui parla la prima lettura, le cui dita tengono il fuso e le cui palme si aprono al misero (cf. Pro 31,19-20), sia all’uomo giusto cantato dal Salmo 127, figura del “servo buono e fedele” della parabola dei talenti (cf. Mt 25,14-30). I discepoli devono affrettare nella speranza l’avvento del Signore senza limitarsi a custodire i doni ricevuti, ma cercando di esserne abili amministratori. Nell’ignoranza del giorno e dell’ora del ritorno glorioso del Signore, che giungerà improvviso “come il ladro di notte e come le doglie una donna incinta” (cf. 1Ts 5,2-3), occorre non solo essere prudenti, ma anche fecondi, perché “Dio non regala frutti, ma dona semi da piantare”.

Nell’economia generale della parabola dei talenti i primi due servi hanno la funzione di far risaltare, per contrasto, il comportamento del terzo. Quest’ultimo, per paura del padrone, si limita a mettere al sicuro quanto gli è stato consegnato e non trova soluzione migliore che seppellirlo. Il padrone condanna duramente la pusillanimità del servo che non ha dato prova di responsabilità: non ha rischiato, non ha investito, non ha tentato nulla e per questo viene apostrofato come “malvagio e pigro”. “Ha preferito peccare di omissione – osserva Papa Francesco – piuttosto che rischiare di sbagliare”. La sua indolenza, però, lo condanna a riscuotere gli interessi del salario della dannazione eterna: “pianto e stridore di denti”.

La giustificazione che il “servo infingardo” porta è quella della paura, fomentata dalla pigrizia, intesa come calcolo del minimo sforzo, come arte di evitare le noie, come incapacità sorretta dalla scusa della propria timidezza. Tale indolenza, causa di depressione e di dispersione, è ritenuta malvagia, perché è incapacità di condividere e quindi di moltiplicare i doni ricevuti in affidamento. “Il bene se non si investe si perde. Quanta gente – avverte il Santo Padre – passa la vita ad accumulare pensando a stare bene più che a fare il bene”. Il servo pusillanime è figura di chi non si sente “familiare di Dio”, il quale non è Giudice implacabile ma Padre misericordioso.

Celebrando la festa della dedicazione della nostra Cattedrale, posta sulla Rupe, siamo chiamati a ravvivare la consapevolezza che il talento artistico della sua ricchezza spirituale, universalmente ammirato, non può essere sotterrato. Questo rischio si corre quando si scorda che il Duomo di Orvieto è un “ostensorio” fuori scala del miracolo eucaristico di Bolsena; quando si fissa lo sguardo sulla finezza dell’armonia della facciata e si ignora che la “via della bellezza” è da sempre la lingua madre della fede della Chiesa; quando si varca la soglia di questo luogo santo senza lasciare la parola al silenzio, che invita i pellegrini allo “stupore eucaristico” e i turisti a sentire una “profonda nostalgia” di Dio; quando si riduce questa casa di preghiera, Chiesa-madre della nostra Diocesi, alla stregua di un museo o di un palcoscenico, dimenticando l’ammonimento pronunciato da Gesù nel tempio di Gerusalemme: “Non fate della casa del Padre mio un mercato!” (Gv2,16).

Fratelli e sorelle carissimi, anche questa casa della Chiesa può diventare un “mercato” quando i gesti rituali non esprimono pienamente quell’adorazione “in spirito e verità” che ha il suo “altare privilegiato” nell’intimo del cuore. Anche questo tempio può diventare un “idolo” quando la custodia del suo talento artistico, ridotta a pragmatica gestione dell’esistente, non è finalizzata a far crescere la consapevolezza che questa dimora, costruita fra le nostre case, invita a coniugare l’esigenza di salire al tempio per la preghiera con la necessità di scendere in strada per assicurare una partecipazione vigile alla vita civile. “La preghiera – afferma Papa Francesco – può iniziare nella penombra di una navata, ma poi termina la sua corsa per le strade della città. E viceversa, può germogliare durante le occupazioni quotidiane e trovare compimento nella liturgia”.

Quello della luce è un dialogo che in questa Cattedrale inizia sin dal mattino: il primo raggio di sole, attraverso la grande vetrata quadrifora ogivale, avvolge le spalle del Crocifisso, come un manto di luce. L’ultimo sole della sera illumina il rosone che, dopo aver fatto fare alle navate il pieno di luce, lascia filtrare gli ultimi raggi che accarezzano tutto il presbiterio di questa casa della Chiesa intitolata all’Assunta, la Donna “ammantata di sole”.

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto - Basilica Cattedrale
15-11-2020