Festa della Dedicazione della Cattedrale 2022- Omelia

“Chiesa, sposa di Cristo, acclama il tuo Signore”: questa antifona, che apre la liturgia delle ore della dedicazione di una chiesa, da quali labbra proviene? Da labbra su cui è “diffusa la grazia”, come quelle di Maria a cui è intitolato il nostro Duomo. Di Lei, Madre di Dio e della Chiesa, Agostino scrive: “Santa è Maria, beata è Maria, ma è migliore la Chiesa che la Vergine Maria. Perché Maria è una parte della Chiesa: un membro santo, un membro eccellente, un membro che tutti sorpassa in dignità, ma tuttavia è sempre un membro rispetto all’intero corpo” (Discorso, 25).
“Non possiamo restare ad ammirare le belle pietre del tempio – avverte Papa Francesco –, senza riconoscere il vero tempio di Dio, l’essere umano, specialmente il povero, nel cui volto, nella cui storia, nelle cui ferite c’è Gesù”. Ogni cattedrale è un libro di pietra che racconta la fede del popolo che l’ha edificata. Edifici maestosi, ai limiti delle possibilità tecniche di cui si dispone, le cattedrali coniugano fede e senso civico. Si impiegano decenni, secoli per completarle e abbellirle, investendo tutte le risorse disponibili, persino chiamando artisti e artigiani forestieri, procacciando le più preziose reliquie, vestendo le facciate di un mantello di mosaici, statue e rilievi.
Impregnata di bellezza, la nostra casa della Chiesa è per così dire un “atlante” di fede e di arte. Le pietre di questo tempio continuano a destare meraviglia agli occhi di chi le guarda. Conosciamo i nomi della committenza e degli architetti che l’hanno edificata, ma non quelli delle maestranze, molti dei quali sono passati nel Libro della vita prima di vedere il risultato della loro fatica. Giorno dopo giorno hanno posto mattone su mattone, alzando le impalcature, e trasportato blocchi di marmo, lavorando con martelli e scalpelli; hanno curato con la massima attenzione persino i dettagli, anche quelli più lontani agli occhi dei fedeli, ma non allo sguardo di Dio.
L’atmosfera migliore per apprezzare la mistica bellezza di questo tempio, che racconta la magnificenza di Dio, è quella della liturgia, che lo rende vivo, impedendo ad esso di essere solo un monumento, cioè una conchiglia mirabile ma vuota, perché priva della perla preziosa. Fratelli e sorelle carissimi, la perla preziosa di questo Duomo è la Ss. Eucaristia; il turista che vi entra, forse, non ha consapevolezza del tesoro di grazia evocato dal Sacro Corporale, ma noi di Orvieto-Todi ne siamo custodi, a condizione di essere pellegrini che frequentano questo luogo e sostano in esso come Mosè sull’Oreb, il quale si avvicina al “roveto ardente” togliendosi i sandali (cf. Es 3,5).
Fratelli e sorelle carissimi, il Duomo di Orvieto è un “ostensorio mariano”: siamo consapevoli che l’Eucaristia è il “roveto ardente” di questa casa della Chiesa? La risposta è semplice: basta vedere come ci avviciniamo all’altare. C’è un “galateo eucaristico” che, purtroppo, sta scomparendo dal vocabolario dei gesti, i quali manifestano la nostra poca fede o smascherano una deplorevole apatia spirituale. Non facciamoci illusioni: “un cuore vuoto di amore – avverte Papa Francesco – è come una chiesa sconsacrata, sottratta al servizio divino e destinata ad altro”. Anche questa cattedrale può diventare, di fatto, una chiesa sconsacrata, se lo “stupore eucaristico”, dono dello Spirito santo, non riempie il “tempio di Dio” dei nostri cuori (cf. 1Cor 3,16). La frusta di cordicelle, agitata da Gesù nel tempio di Gerusalemme (cf. Gv 2,13-22), chissà se ci risparmierebbe?
Questo Duomo è “fuori scala” per la sua grandezza, e tuttavia la Chiesa che sogniamo è come una tenda, che si allarga nel terreno arido ma senza confini dei cuori. La struttura della tenda evoca quella in cui Dio incontra Mosè nel deserto, lungo il cammino dell’Esodo (cf. Es 40,36-37). Il Signore chiama tutti noi a spostare i paletti della tenda della Chiesa ai “crocicchi delle strade”. Lo Spirito ci conceda l’audacia di riconoscere che nel cuore di ogni uomo c’è una vena d’acqua dolce e non salata, come quella che esce dalla soglia della facciata orientale del tempio di Gerusalemme (cf. Ez 47,1). Ci facciano bella e buona la strada le parole pronunciate da Papa Francesco nel Regno del Bahrein, una terra occupata dal deserto ma irrigata da sorgenti d’acqua dolce. “C’è tanto deserto in noi, ma ci sono anche sorgenti d’acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo: in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide, mali personali e sociali; ma nel sottofondo dell’anima scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità”. L’acqua dolce della comunione scorra, come torrente in piena, da questa Cattedrale!

+ Gualtiero Sigismondi

Orvieto - Basilica Cattedrale
13-11-2022