Scatta il 20 giugno la Convenzione con il Vaticano per la tutela delle catacombe di Santa Cristina

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Lo scorso 11 febbraio è stata firmata la Convenzione tra la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede (PCAS) e la Diocesi di Orvieto-Todi, in base a cui quest’ultima assume dalla PCAS la custodia delle catacombe di Santa Cristina in Bolsena per un periodo di tre anni (dal 20 giugno 2020 al 20 giugno 2023). La Comunità custode, ossia la Diocesi, si impegna a svolgere attività di custodia e in particolare ad accompagnare i visitatori con il criterio della migliore diligenza dei monumenti da un punto di vista dei contenuti teologici e storico-archeologici, uniformandosi ai criteri e alle indicazioni prescritte dalla PCAS.

Il Vescovo Tuzia, proprio a Bolsena, nella prima lezione del Corso dell’associazione “Pietre Vive”, in merito alle catacombe così si è espresso: “In questo passaggio di morte, abbiamo Pietre che esprimono una situazione ma che al tempo stesso diventano vive nella Resurrezione, immagine e, dunque, testimonianza della Resurrezione. Nelle catacombe troviamo Pietre vive e la possibilità di offrire, a coloro che le visitano, testimonianza; pertanto non dobbiamo solo mostrare e custodire questi luoghi della memoria, ma raccontare la storia, la vita e qui creare ponti attraverso il linguaggio che è testimone di un annuncio per una vita piena di fede. Far parlare questi luoghi in quanto legge della testimonianza che diventa legge della fede. La Diocesi si adopererà cercando di creare delle sinergie con la comunità dei Padri Sacramentini, con l’Ufficio diocesano Beni culturali e con le diverse realtà presenti nel nostro territorio e con il sostegno della PCAS. Insieme dobbiamo essere annunciatori, far parlare questi luoghi, affinché la testimonianza possa far narrare la memoria. Una memoria che non si è pietrificata, ma che si è fatta storia, si è fatta viva e si è fatta testimonianza”.

A dare ulteriore valore e significato a questa Convenzione e all’importanza della custodia e visita in questi luoghi, è stato l’intervento di Mons. Iacobone (segretario PCAS) sempre nella prima lezione del corso suddetto, il quale ha spiegato il perché custodire questi monumenti. “Non si tratta – ha detto – solo di tutelare, custodire e mantenere dei resti e/o dei ruderi come si fa per tutti gli altri siti, si tratta di molto di più, perché questo patrimonio archeologico è considerato testimonianza di fede. Ci comunicano l’esperienza per cui sono nati, ossia l’esperienza di vita e di fede, attraverso ogni segno, ogni traccia lasciata su quelle pietre che comunicano esperienze concrete, non astratte, non sono cornici ma evidenziano il quadro della vita dei cristiani del III, IV e V secolo. Avevano idee chiare sull’esistenza precisa e sui cardini fondamentali dell’esistenza, come la vita, la morte, gli affetti, la famiglia, la carità e l’incontro con Dio”.

Grazie alle parole del Vescovo Tuzia e di Mons. Iacobone, possiamo dedurre che raccontare e raccontarsi significa dunque obbedire al dovere della testimonianza, espresso in questi siti, e ad avvallare il significato dell’importanza del cristiano come testimone e non maestro, così come ci viene dato proprio da Paolo VI nel 1968, che visitò questi luoghi nel 1976.