XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Pregare … serve più a noi

24 luglio 2022

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Vangelo

Luca 11,1-13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”» . Poi disse loro: … «Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


Commento

Gesù insegna ai discepoli a pregare e affida loro il “cuore” della preghiera nelle parole del “Padre nostro”.
E con il suo esempio dice anche “come” e “dove” pregare.
Nel silenzio del cuore e ovunque

“Di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,42). Con questa “sentenza” tratta dal Vangelo di domenica scorsa, Gesù indica l’essenziale della vita di fede, ossia una relazione intima con il Signore che plasma la coscienza per compiere le scelte della vita secondo la sua volontà, come recita la Colletta del giovedì dopo le Ceneri: “Ispira le nostre azioni, o Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia da te il suo inizio e in te il suo compimento”.

Il Vangelo di questa domenica è una esplicitazione dell’atteggiamento orante di Maria ai piedi di Gesù nella casa di Betania (cf. Lc 10,39), sul modello della postura di Gesù in relazione al Padre: “Gesù si trovava in un luogo a pregare” (Lc 11,1).
Un luogo, un atteggiamento e delle parole sembrano essere le caratteristiche che emergono dall’insegnamento che Gesù impartisce ai suoi discepoli sulla preghiera.

Ma cosa suscita il desiderio di apprendere, da parte dei discepoli? L’esempio del Maestro: “Quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse – Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (v. 1).
La pausa contemplativa di Gesù, tra l’andare per villaggi e paesi ad insegnare, sembra aver colpito in profondità i suoi “amici”.
L’interesse dei discepoli pone un interrogativo pastorale: nelle nostre comunità, oggi, è possibile mostrare un insegnamento sulla preghiera, con la testimonianza orante? Le nostre chiese sono anche case e scuole di preghiera? E lo sono le nostre famiglie cristiane?
Interrogativi che non possono essere tralasciati in un contesto di rinnovamento ecclesiale quale stiamo vivendo, a partire soprattutto, da quanto è emerso nel Cammino Sinodale in questo primo anno di ascolto.

Per Gesù, oltre alla sinagoga, è luogo privilegiato per la preghiera il deserto, inteso come luogo della solitudine (cf. Lc 6,9; 9,18.28).
Privilegiare il silenzio, un luogo solitario, non ha come fine l’isolamento dalla realtà, ma la ricerca di una condizione che agevola l’immergersi in profondità nella realtà delle cose, per vederle con cuore e occhi indisturbati. La preghiera come evasione non è la preghiera cristiana, come non lo sono alcune “estasi emotive”, indotte da contesti artatamente predisposti a sollecitare l’epidermide, anziché il cuore.

Le parole del Padre Nostro, sia nella versione di Luca che di Matteo (Mt 6,9-13), sono un esempio concreto: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano e perdona a noi i nostri peccati” (Lc 11,3-4).

Gesù, con il riconoscersi figlio, pone sulla bocca dei discepoli la parola Padre (v. 2), primo appellativo con cui professiamo il nostro essere credenti: “Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente”; e indica, di conseguenza, una fratellanza che ci unisce a Lui, Figlio Unigenito e Primogenito. Dopo le parole del Padre Nostro, il Vangelo ci propone, con degli esempi, alcuni atteggiamenti concreti: l’insistenza, opportuna e inopportuna.
L’amico svegliato a mezzanotte, alla fine concederà quanto chiesto (cf. Lc 11,8).
Il continuare a cercare anche quando la ricerca sembra vana e l’osare il disturbo (v. 9-10), non sono un oltraggio a Dio, ma esprimono la familiarità filiale.
Ma con quale atteggiamento si può osare?
Quello del pubblicano: “Non osava nemmeno alzare gli occhi, ma si batteva il petto dicendo – O Dio abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Una familiarità che emerge anche nel dialogo tra Abramo e il Signore, in quella contrattazione caratteristica dei sūq arabi (cf. Gen 18,23-32), ma riscontrabile anche nelle nostre case, quando un bambino chiede con insistenza, per piegare la volontà dei genitori. Il Padre Nostro è veramente una sintesi di tutto il Vangelo e l’edytio typica di ogni preghiera, ossia la forma e il modello della preghiera cristiana.
Scorrendo il testo ci accorgiamo che la preghiera, anche quella intima, che richiede un isolamento, non è mai evasione dalla realtà, ma immersione profonda nelle cose del mondo, al fine di animarle e condurle alla pienezza del Regno (Lc 11,2).

È bene ricordare allora, il vero senso e il fine della preghiera, ce lo insegna la liturgia, in un particolare prefazio: “La lode, dono di Dio”.
Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva.

A cura di don Andrea Rossi

(tratto da La Voce del 22 luglio 2022)