XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Liberi in Cristo. Ma è così?

9 ottobre 2022

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VANGELO

Luca 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo.
Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


COMMENTO

Gesù guarisce dieci lebbrosi ma solo uno lo ringrazia: è lo straniero, disprezzato dal popolo ma lodato da Gesù. Un testo profetico che ci porta all’oggi di una Chiesa che fatica ad accogliere la novità del “camminare insieme”

“Lungo il cammino verso Gerusalemme” (Lc 17,11); con questa locuzione, il testo evangelico di questa domenica, dando una chiara indicazione della meta, intende anche sottolineare una vicinanza ad essa.

L’anno liturgico ha davanti sé il suo compimento, che coinciderà con il discorso sulla fine dei tempi, proclamato da Gesù, proprio davanti al tempio di Gerusalemme (Lc 21,5-19).

Eppure in questa tappa, Luca compie una “torsione geografica”: “Gesù attraversava la Samaria e la Galilea” (v. 11).

Infatti orientato verso Gerusalemme, procedendo da nord a sud, si cammina dalla Galilea verso la Samaria per raggiungere la Giudea, invece il testo inverte il percorso.

È una scelta voluta da Luca per sottolineare che il Regno di Dio non ha confini geografici, né norme moraliste che giudicano l’atteggiamento esteriore.

Il suo fine è ben definito nel Prefazio Comune VII : “[Dio] nella pienezza dei tempi [ha] mandato il suo Figlio, ospite e pellegrino in mezzo a noi, per redimerci dal peccato e dalla morte e [ha] donato il tuo Spirito per fare di tutte le nazioni un solo popolo nuovo, che ha come il fine il [suo] regno, come condizione la libertà dei [suoi] figli, come statuto il precetto dell’amore”.

Due sono le condizioni di esclusione dal Regno secondo la legge ebraica che emergono nel testo.

La lebbra, a causa della quale si è esclusi dalla vita civile, ma soprattutto è considerata conseguenza di un grave peccato commesso, che rende impuri moralmente e capace di rendere impuro chiunque si sarebbe avvicinato.

E l’identità geografica: “Era un Samaritano” (Lc 17,16), quindi eterodosso alla legge mosaica, quindi oltre confine rispetto alla salvezza garantita dalla legge a quanti appartengono al popolo d’Israele.

Gesù nei suoi insegnamenti, fa emergere l’ostinazione di una linea interpretativa “sposata” da alcuni farisei e dottori della legge, che innalzano la norma a sola rivelazione divina, dimenticandosi della tradizione profetica che nella storia già fa emergere la visione universalistica della salvezza.

Il testo della prima lettura indica proprio questa prospettiva. Eliseo servo in-utile (Lc 17,10) ossia senza guadagno, “figura di Gesù”, garantisce la guarigione a chi con fede si è rivolto a lui e conduce alla vera adorazione del Dio unico e vero uno straniero: Naamàn il Siro (2Re 5,14-17).

Per l’evangelista Luca era necessario destrutturare la geografia per ribadire una verità fondamentale: la salvezza è per tutti. Ma anche l’evangelista Giovanni ribadisce la necessità che Gesù attraversi la Samaria, terra ostile agli Ebrei per le vicissitudini storiche (2Re 17,24-41).

Infatti nel brano dell’ incontro tra Gesù e la Samaritana (Gv 4,1-42), il testo stigmatizza: “[Gesù] lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria” (v. 3).

Il termine samaritano era anche un appellativo che gli ebrei utilizzavano per indicare il disprezzo nei confronti delle persone, sorte che è toccata anche a Gesù nello scontro avuto con i giudei sulla sua identità (Gv 8,12-59). I giudei rimasti senza argomenti usano l’insulto: “Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?” (Gv 8,48).

Dentro questo contesto che “taggava” i peccatori, i pagani e gli eretici fuori dalla salvezza, Luca ci propone gli inclusivi insegnamenti di Gesù, che tracciano “confini infiniti”, dove trovano cittadinanza quanti amano di vero cuore e riconoscono Gesù come il Signore, rendendogli culto: “E si prostrò ai suoi piedi” (Lc 17,16).

Nell’attuale contesto ecclesiale, che si trascina elementi delle tradizioni che hanno fatto il suo tempo e oggi appesantiscono l’agilità del cambiamento, è forse necessario chiederci quanto la nostra azione tiene conto degli insegnamenti profetici di questo brano e di altri ad esso collegati.

Come stiamo rispondendo alla voce dello Spirito che ci chiede di “prendere il largo” e navigare nel “mare aperto” del cammino sinodale?

È necessario chiederci, in questo tempo, se la nostra “postura” sta assimilando l’invito ad essere Chiesa sinodale.

Nonostante gli inviti di Papa Francesco, e con un po’ di ritardo anche della Chiesa italiana, nel mezzo del “cammino sinodale” ancora oggi si prosegue con insegnamenti calati dall’alto, con indicazioni dirigiste, senza alcuna condivisione in stile sinodale.

Fino a quando?

A cura di don Andrea Rossi

(tratto da “La Voce” del 07/10/2022)